martedì 28 giugno 2011

Il segreto nella fiamma

"Il Segreto nella Fiamma" di Massimo Vassallo per EDIZIONI XII è un romanzo in cui si respira aria d’altri tempi, una finestra che si apre su un momento difficile per l’Europa cristiana di fine XII secolo, impegnata nelle aspre lotte contro i saraceni in Terrasanta. Siamo catturati nel limbo di un periodo di transizione: la cavalleria cortese di stampo arturiano, fatta di tornei e sfide da portarsi con onore, si sta trasformando in una forza a servizio esclusivo della lotta di religione contro l’infedele; ne è prova il sorgere di ordini monastici combattenti quali Templari e Teutonici.
Gli eroi antichi sono Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. Quelli nuovi, Goffredo di Buglione e i suoi crociati.
Vassallo si muove all’interno di questo contesto che non ha ancora trovato il proprio equilibrio, precariamente in bilico tra un passato già leggendario e il sanguinoso futuro.
La storia inizia con l’arrivo di un cavaliere zuppo di pioggia al castello del Barone Carmick, la cui figlia Rosalba accoglie e accudisce l’inatteso viandante con l’ospitalità che si addice a una discendente di sangue nobile.
La bellezza della ragazza strega immediatamente il cavaliere, un giovane il cui viso è invece deturpato dalla mancanza di un occhio, coperta indossando una benda nera. Egli si ammanta di mistero, rifiutandosi di fornire il proprio nome; più genericamente chiamato Cavaliere del Falco, è un principe destituito dal diritto di primogenitura a causa di un fratellastro saraceno comparso dal nulla.
La storia del cavaliere è tormentata da esperienze che l’hanno segnato nel corpo e nello spirito, non ultima il servizio in qualità di membro dell’ordine templare ad Acri durante la presa della città col disonorevole massacro compiuto sui saraceni. In giovinezza ha assistito a prodigi e magie che hanno poi accostato il suo destino a quello del grande Merlino: il mago della leggenda ha risvegliato in lui un potere che ancora non comprende.
L’ospitalità del Barone si rivelerà fonte di gioie e dolori. Al forte sentimento che subito germoglia tra il cavaliere e Rosalba, si contrappone il mistero che avvolge in una morsa di mestizia e paura la famiglia Carmick. Nel castello sembra imperare il colore rosso, negli arredi e nelle vesti come nei nomi di Rosalba e degli altri figli del Barone: Carminio, Rosso e Malvina. Nei sotterranei si nascondono segreti innominabili e nemmeno il passato del signore del castello – che pure è un brav’uomo – è immacolato.
In Terrasanta, al Barone è stato proposto un patto diabolico e ora i termini del contratto minano la vita stessa dei suoi figli, Rosalba compresa. Solo il maggiore, Carminio, sembra trovarsi a proprio agio in questo clima di mistero e inquietudine.
Incapace di abbandonare all’indecifrabile minaccia la donna che ormai ama, il cavaliere decide di non ripartire. Proprio al castello, come evocata, gli si presenta l’occasione per risolvere le sue pericolose questioni dinastiche: il fratellastro saraceno Ferk, accecato da bramosie di conquista, giunge alla dimora del Barone alla testa di nutrito esercito e la pone sotto attacco.
Il Cavaliere del Falco dovrà allora fare i conti con nemici interni ed esterni, imparando a usare la forza magica che nasconde in sé per opporsi a una setta di rosso vestita che opera magie immonde seguendo antichi riti diabolici. Ad affiancarlo in questa complicata e rischiosa situazione saranno il possente guerriero Turnball, suo amico di giovinezza, l’agile e arguto ser Dill e l’immancabile Rosalba, che nel cuore di fanciulla nasconde un coraggio inaspettato.
Il romanzo di Vassallo, costruito con cura attorno a nozioni tecniche e parole ricercate, si può facilmente dividere in due parti. La prima, nella quale si impara a conoscere i misteri del castello dei Carmick, sembra uscire da un roman de geste di CHRÉTIEN DE TROYES, sia per immagini sia per successione degli avvenimenti. Amor cortese, cavalieri erranti, battute di caccia e sfide presuntuose si succedono con ritmi misurati, a volte anche troppo costruiti, con un vago sapore di autocompiacenza. I ricordi delle passate imprese del Cavaliere del Falco richiamano non poco le traversie di Lancillotto o di Perceval, un parallelo arturiano acuito dal rapporto del protagonista con Mago Merlino. Gli episodi di caccia acquistano la valenza simbolica di iniziazione e prova; in uno di questi, la scelta del cavaliere di risparmiare una femmina di cinghiale gravida diventa simbolo della sua generosità d’animo. I combattimenti contro avversari pressoché immortali, il cervo che guida il cavaliere mentre cammina a fianco di Merlino, l’essere grottesco che nasconde più di quanto non appaia alla vista, riportano subito alla mente le storie del Mabinogion.
Questo contesto dalle origini un po’ troppo palesi è ravvivato dalle prime avvisaglie dei misteri che avvolgono il castello e che lasciano presagire qualcosa di più elaborato rispetto alla semplice citazione dei modelli del romanzo cavalleresco francese e bretone. Giunti a metà della storia, la trama prende una piega del tutto diversa, i ritmi accelerano e perfino la parlata si fa più moderna, immediata.
Non appena la guerra si affaccia alle porte del castello dei Carmick, lo scenario si spoglia dall’affettazione da romanzo cortese e ci si ritrova catapultati in mezzo al sangue e alla battaglia, descritta con minuzia di particolari, anche tecnici, degni di un HARRY TURTLEDOVE. Vassallo si è fatto puntiglio di descrivere con precisione tattiche, armamenti, macchine da guerra e accessori dei soldati, offrendo uno scorcio più che vivido degli scontri.
Si passa infine alla lotta di religione, anche se l’identità dei saraceni in quanto nemici infedeli è mascherata dietro al presunto diritto al trono vantato da Ferk. Questa lotta ha un parallelo all’interno del maniero e, nel caso specifico, assume i tratti del combattimento contro le eretiche forze del Male, impersonate dai componenti della misteriosa setta rossa.
I personaggi sembrano risvegliarsi dal torpore delle prime pagine per riscoprirsi pieni di determinazione, un coraggio ardente da affiancare alla fiamma magica che brucia nell’animo del Cavaliere del Falco. Il cavaliere Turnball e ser Dill incarnano la forza prorompente di questa seconda parte della storia, con le loro gesta intervallate da ironia e reazioni più vicine al modo di sentire odierno.
Il desiderio di giungere al finale della vicenda per conoscere la sorte degli eroi si fa più stringente a mano a mano che ci si avvicina alle ultime battute.
Il Segreto nella Fiamma piacerà agli appassionati del Medioevo e della cavalleria per la meticolosità e le non poche citazioni colte; e con un pizzico di impegno in lettura, risulterà godibile anche agli amanti del Fantasy più moderno.

lunedì 27 giugno 2011

La biblioteca dei morti

Il romanzo LA BIBLIOTECA DEI MORTI è entrato in casa mia la sera del 12 settembre tra le mani di mio padre. Si era fatto irretire dalla copertina e non ha saputo aspettare il mio compleanno per darmelo. Non lo biasimo. Visto il titolo, lo sfondo ‘librario’ e l’atmosfera cupa…l’avrei comprato al volo anche io!
Si è trattato quindi di un regalo molto gradito a cui finalmente ho trovato un po’ di tempo da dedicare. Ma veniamo al romanzo in sé.
La Biblioteca Dei Morti è il primo romanzo dello scrittore Glenn Cooper, uomo dai molteplici interessi che stavolta ha intessuto un giallo letterario di ampio respiro. Il romanzo è stato pubblicato in Italia dalla Editrice Nord, in un'edizione che attira lo sguardo e la curiosità del lettore per la sua sobria aria di mistero.
La storia ha per protagonista l’agente FBI Will Piper, esperto profiler di assassini seriali che si trova quasi alla fine della carriera, afflitto dalla solitudine e dall’alcolismo dopo essere stato degradato a causa di una relazione con una collega. Stanco e disilluso, desideroso solo di raggiungere la tanto agognata pensione, Will non ha la minima intenzione di occuparsi del caso Doomsday, il killer che uccide dopo aver avvertito la vittima tramite una cartolina su cui spicca il macabro disegno di una bara. Non può però sottrarsi agli ordini e si troverà ad affrontare le indagini insieme alla collega Nancy, destreggiandosi attraverso morti che non sembrano avere veramente un legame tra loro, non fosse per la cartolina.
Le loro indagini si scontreranno presto con un segreto governativo custodito gelosamente fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e a ben guardare da prima ancora…forse dalla nascita di un infausto bambino nel lontano 777 d.C. e dalla formazione di una terribile Biblioteca vergata di suo pugno che decreta il destino di ogni uomo.
Per quanto il romanzo sia buono, non soddisfa appieno le aspettative. Forse anche a causa di una traduzione poco felice, c’è un fiorire di termini stranieri per definire mestieri e parti della città di New York che possono risultare ostici al lettore medio che non mastica l’inglese e che magari si trova a chiedersi cosa significhi andare ‘uptown’ o cosa faccia nella vita un ‘profiler’. Il desiderio di rendere al massimo la modernità della vita newyorkese di quando in quando suona forzato, sbandierato più che sentito.
La scelta di un protagonista alla fine della carriera e affetto da alcolismo che si riscatta con un’indagine esplosiva è stantia e toglie un’altra fetta di interesse, come poco interessante è anche il coinvolgimento della famosa Area 51. Inoltre i salti temporali sono confusionari, saltabeccando tra passato (recente o remoto) e futuro così spesso che ci si trova a dover tornare indietro per controllare se si sta procedendo con la storia o se si è alle prese con un'altra parentesi.
La trama si risolleva e la prosa riacquista una piacevole freschezza quando l’autore ci porta nel passato più remoto, insieme al priore Josephus e al terribile segreto che l’anno infausto gli imporrà di serbare. Forse per una passione personale più sincera, le scene medievali scorrono piacevolmente, portando il lettore a considerare con maggiore indulgenza quanto letto in precedenza.
Anche il finale è piuttosto scontato, un po’ buttato via.
Nel complesso, un romanzo senza cime né abissi da un autore che potrebbe dare di più e a cui si spera venga data un’altra occasione.

sabato 25 giugno 2011

L'Accalappiastreghe

Che Walter Moers fosse un genio della letteratura fantastica contemporanea lo sapevo da tempo. Dal giorno, in effetti, in cui un mio carissimo amico portò in Accademia la sua ultima lettura e me la affidò, invitandomi (obbligandomi moralmente) a leggerla.
Si trattava de "Le Tredici Vite e Mezzo del Capitano Orso Blu", il primo romanzo di questo autore e illustratore umoristico.
Come il suo ormai antico predecessore, "L’ACCALAPPIASTREGHE" (Salani) si può trovare nello scaffale dei romanzi per ragazzi. Questo ti fa pensare che si tratti di una semplice fiaba. Poi cominci a leggere e ti rendi conto che le tematiche non sono sempre adatte alla lettura spensierata di un bambino…anzi, molti aspetti della vicenda non possono essere compresi che da un adulto! Al contempo, l’umorismo e la natura dei protagonisti –animali parlanti, per lo più- ti costringono a tornare all’infanzia per riuscire a goderti la trama. Ma allora di che si tratta? Fiaba? Fantasy? Un miscuglio improbabile di entrambi o qualcosa di completamente nuovo?
Definire la letteratura di Moers è impossibile. Si può solo godersela senza fare tante storie. Se ti lasci prendere, se consenti a Moers di catturarti, non sei più libero finché non leggi la parola fine: mi sono fatta fuori L’Accalappiastreghe in tre giorni.
Eco è un cratto, cioè una creatura identica ad un gatto…non fosse per i due fegati, la capacità di parlare e la straordinaria intelligenza. Il crattino ha appena perso la padrona, deceduta di vecchiaia, e ora si aggira affamato e sperduto per la città di Sledwaya, turpe ricettacolo di malanni, virus e batteri caratterizzato da una popolazione sempre sul punto di tirare le cuoia. Quando la morte sembra ormai volerselo portare via per consunzione, una proposta diabolica gli viene offerta dal personaggio più equivoco di tutta Sledwaya: Malfrosto, l’Accalappiastreghe.
Malfrosto è il tiranno delle shokkie, le orride streghe di Zamonia, nonché il produttore di tutti i malanni di Sledwaya. Ambizioso e crudele alchimista, sta collezionando il grasso di tutti gli animali rari di Zamonia al fine di conservarvi le essenze volatili dei suoi esperimenti. Gli manca giusto del grasso di cratto e alla vista di Eco in tali condizioni si affretta a mettere l’animaletto alle strette.
Malfrosto si impegna a fornire al cratto pasti luculliani, una calda dimora e tutta la sua sapienza per un mese. Alla fine di quel periodo, avendolo ingrassato per bene, Malfrosto lo ucciderà e ne userà il grasso. Messo in condizione di decidere se morire subito di fame o dopo un mese a pancia piena, Eco firma il contratto che lo lega all’alchimista.
Comincia così una pazzesca avventura culinaria, alchemica e magica in cui Eco imparerà e mangerà di tutto, facendo conoscenza con assurde creature mai incontrate prima (pellestrelli, api demoniache, vedove bianche, ululoni…), finché non scoprirà che il cuore di Malfrosto non è così inattaccabile e che forse l’amore potrà essere la chiave per spezzare il contratto e continuare a vivere.
L’Accalappiastreghe è un romanzo sorprendente, a tratti toccante, sempre imprevedibile. Malfrosto avverte spesso il lettore che le favole di Zamonia finiscono sempre male e in questo caso risulta davvero difficile avere fiducia in un lieto fine. I momenti orribili non mancano, alternati a parentesi fiabesco/grottesche che lasciano spiazzati.
Moers continua a migliorare.

venerdì 24 giugno 2011

Il mistero dei Teschi di Cristallo


Un’antica leggenda, forse azteca ma comune a tutte le prime genti d’America, narra dell’esistenza di 13 teschi, scolpiti in pietre dure e trasparenti, i quali possiedono un’ancestrale e terribile sapienza. Nel momento in cui l’umanità si troverà ad affrontare un pericolo che metterà in gioco la sua stessa esistenza, i 13 teschi verranno riuniti e insieme pronunceranno le parole che la salveranno dalla distruzione. Starà all’Uomo comprenderle a fondo e metterle in pratica.
Da questo mistero archeologico e antropologico ha origine il romanzo/saggio "Il mistero dei Teschi di Cristallo" di Sebastiano Fusco, per EDIZIONI MEDITERRANEE.
La pubblicità che ne è stata fatta inganna. Il tempismo nell’associare il libro di Fusco con l’uscita nelle sale dell’ultimo film della saga di Indiana Jones, incentrato appunto sul rocambolesco ritrovamento di uno di questi teschi, indurrebbe a pensare di trovarsi di fronte a uno di quei testi pseudo-esoterici costituiti da entusiastiche e discutibili affermazioni su antiche civiltà dimenticate e prossime apocalissi, da lanciare sul mercato utilizzando l’onda di interesse suscitata dalla pellicola cinematografica.
La lettura di Il Mistero dei Teschi di Cristallo, invece, sorprende per la lucidità delle supposizioni e della ricerca, e si scrolla di dosso la scomoda associazione pubblicitaria in poche pagine, acquistando credibilità senza tanti sforzi. L’autore si interessa all’argomento in maniera analitica, quasi scientifica, e non si lancia in ardite supposizioni ma offre al lettore una solida base nozionistica da cui partire, spaziando dall’antropologia alla magia, dalla neurologia al funzionamento della psiche secondo i più recenti studi.
Esistono molti teschi di cristallo sparsi per il mondo, alcuni conservati in musei ma più spesso parte di collezioni private. Le analisi tecniche condotte su alcuni di essi, pur in un alternarsi di affermazioni e smentite, hanno evidenziato prerogative che - anche non volendo scadere nell’esoterico - sconcertano perfino i tecnici.
I teschi sono stati scolpiti in pezzi unici (tranne un paio di essi che possiedono una mandibola mobile) partendo da gigantesche formazioni di quarzo cristallino. Il ‘senso di marcia’ seguito per scolpirli è contrario al piano di simmetria molecolare della gemma, il che significa una fatica maggiore nella creazione dell’opera e l’assoluta certezza di vedere il pezzo scheggiarsi o spaccarsi in pezzi al minimo colpo inferto senza la dovuta delicatezza.
Questo modo di lavorare le pietre dure è quasi impossibile perfino oggi con le moderne strumentazioni, perciò capire come si sia giunti ad una tale precisione (nonché ad un lavoro concluso senza danni) con strumenti antichi è arduo.
Inoltre, i pezzi sono perfettamente levigati, lisci e senza difetti. E’ stata suggerita l’idea di una paziente lavorazione tramite acqua e sabbia, ma un rapido calcolo ha rivelato che occorrerebbero trecento anni di levigazione continua per raggiungere un simile risultato. I teschi hanno una capacità intrinseca di riflettere e rifrangere la luce, che in alcuni esemplari si concentra nel fondo delle orbite e in altri crea suddivisioni nei colori dell’iride.
Questo li accomuna in parte ad altri oggetti esoterici utilizzati per i viaggi extra-corporei, alla ricerca di un più elevato sentire; infatti, non sono poche le persone che hanno subito effetti stravaganti trovandosi di fronte ai teschi (svenimenti, convulsioni, improvvisa conoscenza di linguaggi mai parlati prima e altro ancora). Fusco ipotizza che fissare i giochi di luce al loro interno agisca sull’amigdala, un organo del cervello posto alla base del cranio, e che sposti la percezione e il pensiero su un piano che non preveda la successione standard di trasmissione neuronale delle informazioni.
Il numero effettivo dei teschi esistenti varia continuamente, in quanto molti ne millantano il possesso ma pochi hanno finora acconsentito a permettere uno studio approfondito con mezzi scientifici.
‘Max’, ad esempio, è un teschio stilizzato in pietra cristallina, appartenente ai signori Parks, in Texas. Nel sito di Sha-Na-Rah in Messico sono stati ritrovati altri due teschi di pietra trasparente dalle linee simili a quelle delle raffigurazioni nell’arte locale. C’è poi il ‘teschio Maya’ del Guatemala, che emette una luminescenza verdastra, e quello in quarzo rosa trovato al confine con l’Honduras. Un teschio dalle forme essenziali è conservato al Trocadero di Parigi, ed uno in pietra lattea è stato spedito anonimamente allo Smithsonian Institution. Esiste poi un teschio in alabastro ed uno dalla forma così allungata e particolare che gli entusiasti hanno subito tirato in ballo gli alieni, ribattezzandolo E.T.
I più interessanti rimangono il Mitchell-Hedges, l’unico ad essere stato analizzato addirittura dai tecnici della Hewlett-Packard, e quello conservato a Londra, che dà il via all’avventura di Fusco.
Questa inizia con una semplice visita turistica al British Museum of Mankind a Londra, spinto dalla curiosità di vedere il pezzo ivi custodito prima che venga riportato in magazzino. Era infatti stata smentita la sua antichità (analisi poi messa in dubbio e smentita a sua volta) ed il museo intendeva toglierlo dalla sala.
La vista del teschio suscita in Fusco una serie di perplessità e domande che spingono l’autore dapprima a ricercare informazioni in maniera autonoma e quindi a chiedere un confronto con personalità scientifiche di primo piano. Questi uomini di scienza non solo non dissipano i suoi dubbi, ma anzi lo fanno immergere sempre più a fondo in un mondo di mistero. Per cercare di venire a capo della faccenda, Fusco compirà un viaggio in Centro-America per incontrarsi con uno degli ultimi uomini di potere di sangue azteco e vedrà con i suoi occhi cose sbalorditive lasciate poi al giudizio del lettore.
A metà strada tra il saggio nozionistico e il romanzo d’avventura, Il mistero dei Teschi di Cristallo è un libro ben fatto, chiaro ed esauriente, di facile lettura e di arricchimento culturale. Consigliato a tutti coloro che amano il mistero pur volendo restare con i piedi ben piantati a terra.

giovedì 23 giugno 2011

Racconti fuori dal tempo

E’ la seconda volta che mi accosto alla produzione letteraria di Rolando Di Bari, una personalità poliedrica difficilmente etichettabile. Scrittore, artista, cultore di molteplici interessi, sa mettere tutto se stesso nei suoi racconti, che infatti sono uno specchio della sua anima e ne mostrano forse la versione più sincera. Essendo amica e collaboratrice di Rolando, mi fa piacere poter dire senza ipocrisia (altrimenti avrei silenziosamente evitato di scrivere questa recensione…) che i suoi racconti, nel torbido mare delle pubblicazioni autoprodotte, sono di ottima qualità e potrebbero figurare nel catalogo di qualsiasi grossa casa editrice italiana.
Racconti Fuori Dal Tempo (Punto&Virgola, 2009) è la seconda antologia di questo autore vigevanese, un naturale prosieguo della precedente Racconti Dal Nulla del 2004, che ho avuto modo di leggere due anni fa. I temi dei racconti, al di là del pregnante sottofondo autobiografico, sono sempre permeati da un’atmosfera fantastica. Anche quando il protagonista delle vicende non è un cavaliere errante – alla ricerca di un luogo, un volto, forse di sé o della risposta a un grande mistero dell’esistenza- il fantastico fa capolino, si insinua e di norma prende pieno possesso anche della situazione più attuale, comune, abitudinaria.
Per quanto gli spazi in cui si muovono i personaggi possano a volte essere ampi a perdita d’occhio, apparentemente senza fine, il vero spazio dell’azione si riduce molto spesso alla sola mente del protagonista, un groviglio di pensieri ed emozioni mai chiaramente esplicati e assediati dal vuoto immenso tutt’attorno. La componente psicologica, il dramma interiore dell’incomunicabilità, fanno da filo conduttore ai racconti. Ciononostante non si cade quasi mai nella ripetitività. Di Bari non cede all’autocommiserazione dei mali dell’anima, ma li sfrutta per aprire porte su nuovi mondi, creare diverse possibilità. Osa e dà vita a universi paralleli credibili che oltre a offrire una storia godibile danno anche materiale su cui riflettere, anche se la sua prosa trova sicuramente più punti di contatto con un lettore dall’animo introverso che con uno portato all’azione.
La forma, a ulteriore merito dell’autore, è chiara, pulita, precisa senza essere pedante, ricercata senza cadere nel lezioso. I racconti non sono, però, da leggere tutti d’un fiato. Di quando in quando, per non cadere nella certezza di aver capito il pensiero comune a tutti i testi dell’antologia, occorre posare il libro e mettersi ‘in pausa’, altrimenti si rischia di sottovalutare la raccolta e lasciarla scivolare via. E’ da trattare come un libro di poesie, con pazienza, rispettandone i tempi.
Non mi sono capitati spesso tra le mani autori italiani del ‘fantastico’ che mi dessero a un tempo il piacere della lettura e quello di un prodotto letterario fatto con i dovuti crismi. Spero che Rolando sforni presto altri racconti. Li leggerò con piacere.

mercoledì 22 giugno 2011

Masca - Ghigna Fàussa

Masca – Ghigna fàussa” è un libro di Donato Bosca edito con Priuli&Verlucca, un cartonato elegante con copertina bianca, su cui spicca una bella foto d’epoca di contadini nella stalla. Donne intente a filare, placide vacche che ruminano in un angolo mentre il vecchio della famiglia racconta le sue storie ad incantati ragazzini.
Il libro in questione tratta di un tipo particolare di strega: la Masca, ovvero la strega o lo stregone della tradizione popolare piemontese, detta ghigna fàussa in quanto ‘falsa’, cioè portata a mistificare le cose e in primo luogo il proprio aspetto. Queste streghe (o stregoni, anche se la versione maschile è più rara) possiedono un libro speciale, il Libro del Comando, che le mette in diretto contatto con i poteri oscuri donati dal Diavolo. Grazie ad essi, sanno mutare il proprio aspetto in quello di animali (i tipici abitanti dei boschi italiani oppure animali da fattoria, in special modo maiali e capre) per fare dispetti e cattiverie agli abitanti dei villaggi. Sanno inoltre controllare il tempo, lanciare il malocchio e tutte quelle amene attività da strega che, se non faceva attenzione, finiva sul rogo oppure bastonata dai compaesani infuriati.
Le masche, di norma, si riconoscevano per il carattere asociale, l’aspetto trascurato, spesso associato ad un handicap evidente, come la zoppia, uno sfregio o la presenza di una gobba sulla schiena. Ciò che è diverso, stravagante, fuori dalla norma diventa quasi sempre segno di loschi affari con il Demonio.
Il libro si rivela molto interessante fin dalle prime righe, in quanto offre uno scorcio di vita nemmeno troppo lontana nel tempo eppure ormai remota a fronte dello sfrenato protendersi verso il futuro della società moderna. La lettura apre uno spaccato su un mondo ristretto, pieno di diffidenza e misteri, in cui il nucleo del paese si erge come porto sicuro al centro di un territorio dominato da boschi, strade pericolose e solitarie, colline e strapiombi. Le forze oscure sembrano annidarsi ovunque, pronte a ghermire chi diventa imprudente o attira troppo l’attenzione. Non siamo abituati a pensare in questo modo al moderno Piemonte, eppure basta inoltrarsi nelle colline del Canavese, ad esempio, per ritrovarsi sperduti in un mondo in cui la civiltà sembra un sogno lontano. Non stupisce, quindi, che la superstizione trovasse terreno fertile in luoghi in cui viaggi e comunicazioni con il mondo esterno non erano cosa di tutti i giorni.
L’autore, grazie al lavoro di anni passati ad ascoltare testimonianze degli anziani delle città piemontesi, ha raccolto un’ampia scelta di racconti: esperienze dirette di contatto con le masche e leggende dei villaggi tramandate durante le veglie, momenti in cui la comunità si riuniva e la conoscenza veniva passata ai più giovani. Questo lavoro si è dipanato attraverso più pubblicazioni; nel libro in questione, Bosca si propone di offrire al lettore un’analisi più dettagliata sull’origine della figura della masca, un lavoro antropologico più ampio.
Il saggio si divide in tre parti. Nella prima, l’autore tira le fila dei suoi lavori precedenti e descrive la figura della masca nei suoi tratti più caratteristici, analizzando i cambiamenti del territorio e della popolazione piemontese durante gli ultimi anni e la conseguente modernizzazione della figura della strega, oggi contaminata dalla new age e dalla stregoneria wicca, nonché dal satanismo privo di solida cultura esoterica in voga tra i giovani. Nella seconda parte, Bosca cerca, attraverso relazioni con culture diverse da quella piemontese, di trovare le radici storiche di questa figura folklorica. Una terza parte, infine, raccoglie testimonianze e storie di paese relative alle masche e alle loro malefatte.
Il saggio si legge bene, è scorrevole e adatto a qualsiasi lettore, dal meno avvezzo al tema al più svezzato sull’argomento. Non vi sono illustrazioni o note che possano distrarre: l’autore bada al contenuto, cercando di offrire quanto più gli è possibile senza tanti fronzoli. La scelta dell’argomento, di richiamo regionale e quindi di nicchia, è coraggioso e sottintende la passione di Bosca per la tradizione orale della sua terra. Questa passione si respira dall’inizio alla fine del saggio, rendendo la lettura piacevolissima.
Rovescio della medaglia, la sua cultura regionale tende a contaminare i suoi tentativi di allargare gli orizzonti sulle radici storiche della masca, facendogli trattare alcuni argomenti – come, ad esempio, l’influenza della cultura celtica continentale sulle tradizioni pre-cristiane del nord Italia- con una certa approssimazione e ristrettezza di vedute, come se la sua radicata territorialità non gli permettesse di cogliere tutti i nessi di un puzzle molto più grande. D’altra parte, questo saggio è solo un frammento di un lavoro più ampio. Per dare un giudizio vero e proprio dovrei leggere gli altri libri scritti da Bosca.
A parte ciò, “Masca – Ghigna fàussa” è una lettura che consiglio a cuor leggero. Non so che effetto farà a voi, ma a me ha instillato una gran voglia di scoprire una regione tanto vicina che fino ad ora ho considerato poco attraente.
Magari c’è ancora qualche masca che necessita di un’apprendista…