giovedì 29 settembre 2011

La Scuola dei Mostri - Ribblestrop

La scuola dei mostriCome definire questo romanzo?
Una storia per ragazzi? Limitativo, senza contare che molte parti possiedono un linguaggio e una tensione non adatti ai bambini. Un romanzo del mistero? Eppure la costruzione è quella propria di una fiaba. Un thriller? Allora che significato avrebbe il senso dell’assurdo che pervade ogni riga?
Ho tentato di classificare “La Scuola dei Mostri” (“Ribblestrop”, in originale, di Andy Mulligan per la Newton&Compton) per tutto il tempo che ho impiegato a leggerlo e non ci sono mai riuscita. Se volete tentare, accomodatevi. Per conto mio, ho deciso che, a un bel momento, la classificazione di genere può anche andare a farsi benedire.
Nè la copertina nè il titolo scelto per la traduzione italiana, d'altra parte, aiutano a farsi un'idea più chiara. Voltate pagina e andate al sodo.
Nell’antica e misteriosa magione di Ribblestrop Towers, esiste una scuola unica nel suo genere. Il Direttore è un uomo già diffidato dall’occuparsi di istruzione, ma guidato da grandi sogni di educazione alternativa. Tra i professori ci sono reduci di guerra e scienziate a caccia di tempeste. La padrona di casa è il tipo che scaglia teiere in testa alla gente, suo nipote nel tempo libero prepara pistole a pietra focaia e frecce per la balestra, e nei sotterranei si aggira una misteriosa congrega di monaci.
Le materie che si studiano in questa scuola hanno poco a che fare con la normale istruzione dell’obbligo: Geografia Pratica in giro per il parco della tenuta, Carpenteria con lo scopo di riparare il tetto, Geometria Applicata per preparare i pezzi che mancano al completamento dei lavori di edilizia. Si tratta più di una scuola di sopravvivenza, ma ai ragazzi iscritti sembra andare a meraviglia!
Parliamo un po’ degli studenti: un ragazzo colombiano preso di mira dai sequestratori, una ladruncola piromane, un gigante muto, tredici orfani tibetani e una coppia di amici ingenui e preda degli eventi. Cosa può venir fuori da una tale accozzaglia di esseri umani bizzarri? Niente di buono, senza alcun dubbio, soprattutto quando la già traballante scuola accoglie la nuova vice-direttrice, Miss Hazlitt, una vecchia secca e sgradevole che fa venire la pelle d’oca al solo incrociarne lo sguardo.
Ribblestrop nasconde più segreti di quanto chiunque potrebbe mai immaginare. La giovane Millie si perde nei sotterranei della magione, scoprendo suo malgrado un laboratorio scientifico allarmante. Gli studenti vengono analizzati dalla vice-direttrice come fossero cavie da laboratorio, mentre la polizia sembra coinvolta in loschi affari e la scomparsa di uno dei ragazzi si tinge di mistero.
Cosa sta accadendo nei sotterranei? Che significato hanno le medicine e gli esami a cui i bambini sono sottoposti? Usciranno tutti sani e salvi dagli eventi drammatici che attendono Ribblestrop? Ma, sopra a tutto, la scalcinata squadra di calcio della scuola riuscirà a battere la Scuola Superiore maschile sul campo?!
Mulligan trascina in una versione allucinata dell’ambiente scolastico inglese, tra risate, non-sense e momenti di tensione mai scontati. I personaggi sono perle di assurdità, pur conservando un realismo di fondo che suscita un piccolo brivido lungo la schiena. La prosa è diretta, chiara, schietta e senza fronzoli, sfrontata come lo sguardo di un ragazzino.
La trama cambia continuamente carattere, stupendo per la sua imprevedibilità, la sua capacità di cogliere sempre in fallo il lettore e le sue ipotesi. Si lotta invano contro il disorientamento, finché non si cede: stare al gioco è l’unico modo per farsi portare da Mulligan verso un finale con il botto.
Un romanzo per tutte le età!

mercoledì 21 settembre 2011

Così triste cadere in battaglia

Così triste cadere in battaglia. Rapporto di guerraMorire per la propria Patria non è meno amaro che morire in qualsiasi altro modo. La Morte è la Morte, e quando sai che ti aspetta al varco non puoi fare a meno di provare tristezza per ciò che stai perdendo. Anche se sei un soldato giapponese, votato all’onore e alla difesa del popolo e dell’Imperatore.
Il generale Kuribayashi, a cui venne affidato l’ingrato – secondo la nostra logica comune- o forse l’onorato (nella mentalità giapponese votata al servizio) compito di combattere contro gli statunitensi per il controllo dell’isola di Iwo Jima, fu uno dei pochi militari giapponesi della Seconda Guerra Mondiale a sottolineare nelle sue parole non la gloria della battaglia, ma la tristezza di soldati che si lasciavano alle spalle mogli, figli, genitori e tutti i loro sogni per morire su una terra ingrata, in una battaglia persa in partenza.
Nonostante questa “debolezza sentimentale”, Kuribayashi fu un generale di polso, intelligente, pratico, un degno avversario dei marines, che ancora oggi lo ricordano con estremo rispetto. Una battaglia destinata ad essere persa in pochi giorni fu protratta per mesi abbandonando la tattica suicida banzai per passare alla guerriglia, e fu la totale mancanza di supporto da parte della Marina e dell’Aviazione a decretare il terribile sacrificio di tanti uomini coraggiosi. Iwo Jima era una desolazione vulcanica priva di acqua e divenne un vero girone infernale per entrambi gli schieramenti.
La battaglia per il controllo di Iwo Jima è indelebilmente impressa nella mente di giapponesi e statunitensi, che ancora oggi commemorano i caduti con cerimonie annuali, incontrandosi pacificamente su un’isola il cui terreno è disseminato di cadaveri. Quali erano le condizioni di vita dei soldati giapponesi mandati a morire in battaglia? Cosa si celava dietro ai comunicati ufficiali, alle versioni della stampa imperiale, ai giorni di agonia di questi soldati del Sol Levante?
Kakehashi Kumiko cerca di dare una risposta a queste domande tramite la lettura e l’analisi delle lettere del generale Kuribayashi alla famiglia che lo attendeva a casa: la moglie e i tre figli. In “Così triste cadere in battaglia” (Einaudi) l’autrice ripercorre attraverso le umane, toccanti, rivelatrici missive del generale non solo la preparazione del contingente allo sbarco degli americani sull’isola, ma anche gran parte delle fasi di battaglia con il supporto di frammenti di diari e lettere ritrovati sui cadaveri dei caduti.
L’analisi di una battaglia di immane impatto storico, innovativa rispetto alle normali procedure d’attacco e difesa giapponesi di fronte al nemico, mette in evidenza la razionale preparazione di Kuribayashi, la sua precisa visione della situazione e dei pericoli che attendevano i suoi uomini e il suo Paese dopo lo sbarco statunitense. In pieno contrasto con la Marina e l’Aviazione, Kuribayashi impiegò i suoi uomini, costretti su un’isola vulcanica desolata e priva di acqua che non fosse piovana, nella costruzione di rifugi sotterranei adatti alla guerriglia, scartando come obsoleto e autolesionista il tipico attacco sulla spiaggia volto a impedire lo sbarco, risoltosi sempre in un massacro. Scandalizzò i superiori rifiutando la carica suicida di prammatica e costringendo il suo piccolo esercito a combattere fino allo stremo, vietando il rituale della “morte onorevole”. I Marines presero Iwo Jima a costo di grosse perdite e una battaglia infernale.
Al di là della battaglia, le lettere offrono il ritratto degli uomini che si celavano dietro l’uniforme, con i loro affetti, preoccupazioni, sogni. Kuribayashi racconta le proprie azioni giornaliere e si interessa della salute dei suoi con la stessa cura con cui si occupa del campo di battaglia. Offre consigli e pareri alla moglie come ai figli, li aiuta a fare piccole riparazioni in casa, a decidere che comportamento tenere in caso di sconfitta del Giappone. Li esorta ad accettare la sua morte e ad andare sempre avanti.
L’autrice ci narra, senza campanilismi, il suo viaggio attraverso la vita di un uomo semplice e pratico che gli eventi hanno consegnato alla Storia. Un’ottima lettura anche per chi non possiede una particolare passione per i fatti di guerra.

lunedì 5 settembre 2011

Orgoglio e pregiudizio

Come prima recensione di un “classico”, mi è parso giusto iniziare da ORGOGLIO E PREGIUDIZIO di Jane Austen. Perché? Beh, perché affrontare la lettura di un romanzo che non sia uno dei moderni best-sellers impilati in libreria in pigne scintillanti oppure una di quelle letture ‘da spiaggia’ che non chiedono grande sforzo intellettuale, non è una scelta facile. Spesso, fin troppo, lo studio scolastico della letteratura italiana e straniera conduce i ragazzi a sviluppare un tale odio, una tale avversione verso tutto ciò che è ‘antico’ (ergo: noioso) da farli stare lontani dal genere vita natural durante.
Grave, gravissimo errore. Un errore nel quale ho avuto la tentazione di indulgere a mia volta, nei freschi anni dell’adolescenza. Fortunatamente, sono una a cui piacciono le sfide. Non potevo permettere ad alcuni romanzi di tenermi lontana a priori. Da un semplice atto di coraggio è nata la sezione “Letteratura” della mia personalissima biblioteca, che si sta ingrandendo tanto da essere diventata ingestibile. Queste recensioni sono rivolte, quindi, a chi ancora non è riuscito a vincere il pregiudizio che contribuisce al titolo di questo romanzo, che in tempi di ingenuità avevo giurato di non leggere mai.
“Orgoglio e pregiudizio” narra la storia di Elizabeth Bennet, una ragazza inglese di estrazione non indigente ma nemmeno particolarmente agiata, la cui famiglia è composta da un padre sarcastico e solitario, una madre frivola il cui unico scopo è maritare le figlie, e quattro sorelle. Jane, la maggiore, è un angelo di grazia e bontà. Mary, la mezzana, tenta senza molto successo di diventare una donna colta. Catherine e Lydia, le più giovani, sono due ochette senza cervello.
La loro vita piuttosto spensierata viene sconvolta da due avvenimenti. In primo luogo, l’arrivo del nuovo vicino, Mr.Bingley. Questi, un giovane simpatico e alla mano, si innamora ricambiato di Jane, ignaro della disapprovazione delle sue altezzose sorelle e di Mr.Darcy, il suo migliore amico, un uomo ricco e orgoglioso. Nello stesso tempo, i Bennet ricevono la visita del cugino che erediterà la loro tenuta, un curato noioso e pedante che desidera prendere in moglie Elizabeth.
Fraintendimenti non voluti e malelingue divideranno i ricchi signori londinesi dalla famiglia campagnola. Qualcosa cambierà nel cuore di Elizabeth quando proprio Mr.Darcy, il cui orgoglio ha causato tanto male a sua sorella Jane, le confesserà di amarla a dispetto delle sue umili origini? O sarà solo l’inizio di ulteriori guai?
Il romanzo, a dispetto della sua “veneranda” età, si legge tutto d’un fiato. Scorre con una prosa piacevole, fresca, molto attuale. Saltando amabilmente da un ballo all’altro, da una ricca magione alla successiva, la scrittura della Austen stilla ironia sulle buone maniere di facciata, sull’educazione affettata, sulle cerimonie vuote di una società basata essenzialmente sulla forma e non sul contenuto.
I personaggi, a grandi linee, possono essere divisi in tre grandi famiglie: i vani, gli orgogliosi e gli ottimisti a qualunque costo. Ogni difetto della buona società viene messo in grande evidenza, conferendo un frizzante umorismo alla trama.
Il senso pratico, il risultato materiale di ogni decisione prevale sul sentimento in qualunque circostanza, compreso il matrimonio. Elizabeth è una delle poche idealiste che ancora si scandalizza all’idea di prender marito per poter avere una posizione, una casa decente, un reddito che possa far invidia ad amici e vicini (cosa che, invece, non farà arricciare il naso alla sua migliore amica Charlotte).
Per quanto si possa classificare il romanzo nella categoria “rosa”, le storie sentimentali raccontate nel libro sono affatto scontate, bensì plausibili anche al giorno d’oggi. La Austen ci presenta gli innamorati timidi che preferiscono avvicinarsi pian piano, rendendo difficile all’altro comprendere a che punto sia l’interesse altrui; la coppia sciocca che per puro interesse o desiderio del momento arriva al punto di progettare una fuga d’amore; gli innamorati testardi che non sanno far altro che insultarsi e irritarsi a vicenda.
Il consiglio di leggerlo va anche a chi avesse già visto il recente film tratto dal romanzo. Per quanto sicuramente fedele, la lettura regala una visione più sfaccettata della vicenda e consente di inoltrarsi con maggiore profondità nella mente della protagonista e di chi le gravita attorno.