domenica 29 gennaio 2012

Vampiri e Lupi Mannari

Vampiri e Lupi Mannari si possono incontrare in forme peculiari ma sostanzialmente identiche in quasi tutte le civiltà del nostro pianeta. Il motivo?
Il Lupo Mannaro rappresenta la natura bestiale, istintuale dell’essere umano. Vive al limite della società, di cui fa parte solo nei momenti in cui mantiene il raziocinio, per uscirne completamente e diventare “altro” quando la belva prende il sopravvento.
La figura del lupo è prettamente nordico-europea e non si trova in altre culture. Questo perché la trasformazione in animale viene concepita attraverso la fauna tipica del luogo sociale in cui la “malattia” si presenta. Dalle nostre parti era il lupo ad essere il principale antagonista di caccia e predatore, perciò è diventato l’incarnazione della belva per eccellenza. In altre culture ci si trasforma in orso, tigre, lince o leopardo. Spesso questa ambiguità tra uomo e animale non è nemmeno un difetto; anzi, è sintomo di elezione sciamanica e viene ricercata attivamente per entrare in comunicazione con stati di coscienza particolari.
Nella nostra civiltà, al contrario, il lato ferino è sempre stato negato e allontanato, perciò la figura del mannaro è associata a comportamenti negativi e anti-sociali (omicidi, stupri, distruzione, associazione con il Demonio).
Il Vampiro, invece, incarna il terrore dell’Uomo per la morte e l’aldilà. Il Vampiro è un morto irrequieto, un corpo che non riposa ma torna in mezzo ai vivi, invidiandone la vita e per questo portandola via a chi prende di mira attraverso la suzione del sangue e, in talune culture, del seme maschile.
Il cadavere animato può essere più o meno cosciente della nuova vita, più o meno legato alla propria tomba e ai familiari, di solito prime vittime degli assalti del non-morto. Il Vampiro può essere stato in odore di stregoneria, durante la sua vita, oppure essere segnato fin dalla nascita da caratteristiche fisiche o tabù particolari (nascita con la placenta o con i denti già spuntati, presenza di una piccola coda, nascita in corrispondenza di festività sacre). Altre volte ancora, a diventare Vampiro è un uomo che si è macchiato di efferati delitti.
Il Vampiro rappresenta il totale sovvertimento delle leggi naturali e come tale suscita orrore.
Erberto Petoia prende in esame queste due figure tanto popolari nelle tradizioni antiche come nell’horror contemporaneo con un saggio edito dalla Newton&Compton: “Vampiri e Lupi Mannari – le origini, la storia, le leggende di due tra le più inquietanti figure demoniache, dall’antichità classica ai giorni nostri”.
Petoia analizza entrambe le figure più da un punto di vista antropologico che misterico, ricercando spiegazioni razionali alla creazione di queste figure estranee a una società ordinata.
Il percorso di ricerca segue un iter storico, partendo dalle documentazioni risalenti alle civiltà più antiche per arrivare alla nascita della società contemporanea. L’autore raccoglie traduzioni di testi mitologici, cronache, perfino atti giudiziari veri e propri, prove di tradizioni dure a scomparire persino dopo l’avvento dell’Illuminismo e del razionalismo.
Il saggio si conclude con una raccolta di estratti dei grandi romanzi che hanno dato origine alla letteratura horror, offrendo uno spaccato di come la superstizione ha fornito spunti e materiale per figure letterarie ancora adesso di straordinario successo.
Il saggio è ben strutturato, di facile lettura per qualunque tipo di acquirente, dall’appassionato al curioso del momento. Suddiviso in capitoli brevi composti da estratti letterari commentati in breve con una piccola introduzione, il libro si mantiene fresco, mai pesante, una lettura che in caso di interruzione può essere ripresa senza tema di perdere il filo del discorso.
Il testo è inoltre corredato di illustrazioni in bianco e nero, che rendono la grafica piacevole a vedersi.
A questo testo manca, purtroppo, un approfondimento di tipo misterico/esoterico, nonché una casistica che arrivi ai giorni nostri e una disamina cinematografica, oltre che letteraria. Nel mondo contemporaneo  sia i Vampiri che i Lupi Mannari trovano ancora spazio, ulteriormente trasformati. Sarebbe stato interessante portare comparazione ed evoluzione di queste due figure fino al presente. Nonostante queste mancanze, consiglio la lettura di questo saggio a tutti coloro che vogliono saperne di più da un punto di vista storico.

martedì 24 gennaio 2012

22/11/'63

La danza è vita.

Quanti di noi hanno pensato almeno una volta nella vita: “Se solo potessi tornare indietro nel tempo, cambierei molte cose”?
A Jake Epping, un giovane insegnante, viene dato modo di realizzare questo desiderio. Non per sé, ma per il bene di tutta l’umanità. Un compito pesante? Ben più di quanto si potrebbe pensare, perché il passato NON VUOLE essere cambiato.
Nel magazzino della tavola calda di Al, un amico di Jake, esiste una sorta di bolla temporale che catapulta chi ci finisce dentro nel 1958. Ogni viaggio è il primo viaggio: quando si tenta di sbucare di nuovo nel passato, tutto si azzera e si ricomincia daccapo. Nel futuro, inoltre, trascorrono solo due minuti tra andata e ritorno, qualsiasi sia l’ammontare di tempo che si vive nel passato. Al ha tentato di utilizzare questa inquietante magia per compiere un azzardo: salvare la vita al Presidente Kennedy ed evitare, in questo modo, i disordini razziali e la guerra in Vietnam degli anni ’60. Un male incurabile lo sta però uccidendo e Al è tornato nel futuro per passare il testimone a Jake.
Il giovane uomo accetta l’ingrato compito e si trasferisce nel passato. Gli anni passano e Jake porta avanti le sue indagini su Oswald, colui che a meno di complotti segreti dovrebbe essere l’effettivo assassino di John Kennedy. Per spiare il suo obiettivo Jake diventa il suo alter-ego George, un uomo capace di destreggiarsi anche in ambienti poco piacevoli, di fidarsi del suo istinto di sopravvivenza e, all’occorrenza, uccidere.
Al contempo, per mimetizzarsi, accetta il ruolo di insegnante in una sonnolenta cittadina del Texas. Questo è il suo errore, o – forse- la sua salvezza. E’ a scuola che Jake si sente davvero realizzato, insegnando e introducendo gli studenti all’esperienza teatrale. Inoltre è in questo ambiente che incontra Sadie, la nuova bibliotecaria, una donna che diventerà per lui la cosa più importante, il vero amore.
Il momento cruciale si avvicina, il Tempo fa di tutto per fermarlo e Sadie rischia di essere travolta dal micidiale macchinario che Jake ha messo in moto. Come può un uomo scegliere tra amore e dovere? Si può davvero cambiare il passato o è stata tutta fatica inutile? E chi gli assicura che il “mondo nuovo” sarà davvero migliore del futuro che sta tentando di cancellare?
Questa la trama dell’ultima fatica di Stephen King (Sperling&Kupfer), un poderoso tomo che affronta con coraggio e una certa spericolatezza il delicato e sempre attuale (almeno in America) tema dell’omicidio Kennedy, legandolo a doppio filo con il vecchio cliché fantascientifico dei viaggi nel tempo.
Ho letto le recensioni al romanzo prima di riceverlo in regalo e le ho trovate in gran parte critiche. All’autore viene imputato scarso approfondimento verso i fatti storici e una certa superficialità nella trattazione del tema dei viaggi nel tempo, con tutte le domande e le incongruenze che una situazione del genere apre.
Dopo la lettura posso affermare quanto già immaginavo: i critici sono una gran noia. Se desiderassi sapere con esattezza come si è arrivati all’omicidio Kennedy, non comprerei questo romanzo, ma un saggio storico o giornalistico. Ugualmente, se fossi interessata ai paradossi dei viaggi del tempo mi andrei a leggere i più recenti dibattiti di fisica. Questo è un romanzo, un’opera di fantasia nata per far sognare, non per sciorinare date o dettagli tecnico-scientifici. C’è da godersi la lettura e basta.
Ritengo anch’io che la lunghezza sia eccessiva, in alcuni momenti King si è un po’ lasciato andare al prolisso, ma nel complesso la storia scivola via facilmente, senza oberare il lettore di dettagli e andando a toccare le corde giuste nei sentimenti. La capacità di commuovere non è mai mancata a questo autore. Nel finale, le citazioni ai classici di fantascienza come “1984” sono una strizzata d’occhio agli appassionati del genere.
Il concetto alla base del romanzo è che, per quanto tutto in noi chieda rimedio agli incidenti, alle disgrazie, alle cattive azioni, ogni evento accade per una ragione. Un’armonia, per dirla come King. Interferire con questi processi potrebbe portare disastri inimmaginabili, ben più gravi del danno che abbiamo cercato di riparare. Una visione forse fatalista, ma al contempo profonda: tutto ci fornisce una lezione, un’esperienza, sentimenti su cui riflettere per andare avanti e, forse, diventare persone migliori. Perfino le perdite più incolmabili.
Vi auguro buona lettura.

martedì 17 gennaio 2012

1984


La Guerra è Pace.
La Libertà è Schiavitù.
L’Ignoranza è Forza.

Il 1984, per molti, è solo uno dei tormentati, vivaci, chiassosi anni di un’epoca che si barcamenava tra tensioni a livello internazionale e speranza - nonostante tutto - in un futuro migliore. Un’epoca in cui il computer aveva iniziato a imporsi, in cui si cominciava a vedere la fine della Guerra Fredda. Un anno colorato, pieno di musica e di denunce sociali quanto di guerre e manovre politiche.
Se parlo di Grande Fratello, invece, la maggior parte dei lettori andrà subito con la mente a quel reality di pessimo gusto in cui un gruppo di esseri umani di varia estrazione sociale (ci si chiede dove vadano a pescarli…) risiede in una casa per tot tempo sotto l’occhio costante delle telecamere. Piaccia o meno questo genere di intrattenimento, il nome evoca subito il programma televisivo.
Quando George Orwell scrisse “1984”, però, tratteggiava un futuro ancora lontano e non esistevano format televisivi che scrutassero l’intimità dei concorrenti. Possiamo solo tirare un grandissimo sospiro di sollievo constatando che il genere umano ha preso una strada differente da quella descritta nel romanzo (anche se, accendendo la tv, qualche dubbio sorge); tanto più perché Orwell dipinge un futuro dannatamente plausibile.
I più recenti sviluppi politico-economici danno da pensare.
Nell’immaginario anno 1984, il dominio del mondo è diviso tra tre superpotenze: Oceania, Eurasia ed Estasia. Esse sono in costante stato di guerra e si equiparano per potenza, mezzi e ideologia politica. La guerra è diventata eterna, perché nessuno ha una forza sufficiente a battere le altre due potenze. Lo stato di cose, comunque, è una panacea per mantenere la disciplina, le restrizioni, l’ignoranza: in una parola, il potere.
Winston Smith è un membro del Partito Esterno a Londra, e come tale vive e reagisce in ogni istante della sua vita, spiato dai grandi schermi su cui si susseguono comunicazioni ufficiali e il volto eterno del Grande Fratello, icona di speranza e vittoria. L’uomo svolge il suo lavoro con dovizia, segue i momenti di Odio collettivo, si comporta esattamente come un qualunque membro del Partito. Quello che lo rende diverso è ciò che si agita nella sua testa.
Winston non riesce a esercitare il bipensiero, il sistema di autoconvincimento che aiuta a dimenticare in fretta ogni contraddizione nelle comunicazioni del Partito. Lui ricorda tutto, nota le incongruenze. Questo lo porterà gradualmente a comportarsi in maniera stravagante, ad allacciare una relazione proibita con una compagna e perfino a cercare di entrare nell’elusivo gruppo di ribellione al Partito.
Si troverà a giocare una partita impari, formica contro un colosso, nel disperato tentativo di dimostrare che il cuore di un uomo è più forte della forza bruta del potere.
Il soffocante disprezzo per l’individualità, il pensiero e i sentimenti umani creano in questo romanzo la più credibile e allarmante incarnazione di quello che è il concetto di massa. L’uomo diventa un minuscolo ingranaggio, il cui unico scopo è collaborare con gli altri per far funzionare l’immane meccanismo. Quando la verità viene ribaltata, pervertita, negata, tutto può essere ogni cosa e il suo contrario, di momento in momento.
Non c’è nulla di definito se non il Partito e la propria subordinazione al suo mantenimento. La Storia viene distrutta, riscritta continuamente. L’ignoranza è il fondamento su cui si erige la piramide di potere in cui pochi eletti gestiscono l’Impero, non per sé in quanto individui ma, ancora una volta, in quanto emanazioni del Partito e pertanto destinati all’immortalità.
Leggendo il romanzo si viene assaliti da un terrore atavico, dato dalla constatazione di quanto il concetto di verità sia fragile come cristallo, soggetto alle decisioni di chi tiene in mano il potere. Ne siamo fin troppo consapevoli oggi, in cui per contro abbondano le teorie cospirazioniste di chi non crede al giornalismo internazionale e ai comunicati ufficiali. Alla paura si affianca un senso di soffocamento nel rendersi conto di quanto siamo andati vicino a vivere situazioni così estreme; i fondamentalismi di sinistra (o destra) non sono così lontani nella nostra memoria e rimangono pronti per ogni evenienza dietro l’angolo della facciata democratica.
“1984” è una storia dolceamara, romantica e crudele al tempo stesso. Stimola il desiderio di pensiero autonomo e determinazione del sé, la voglia di combattere contro i soprusi e l’ottusità. Parallelamente, instilla un senso di fatalità, una sorta di stanchezza verso la cecità e la lentezza di reazione della massa. Dovrebbe essere una lettura consigliata già nelle scuole secondarie, in parallelo con lo studio dei nazionalismi degli ultimi due secoli.
E’ un capolavoro, senza mezzi termini.