sabato 28 luglio 2012

La Chiave di Salomone

Accostarsi ai testi esoterici della tradizione ebraica prevede non solo una decisa apertura mentale ma anche una conoscenza di base dei testi sacri della religione da cui si è sviluppato il Cristianesimo e della concezione escatologica in evoluzione tra l’antico e il nuovo Ebraismo. In parole povere, occorre avere una certa confidenza con la Bibbia.
Salomone fu, nella Storia o nella leggenda, un grande Re, figlio di Davide e suo successore sul trono di Gerusalemme. Dio gli elargì un’incredibile sapienza sulle cose del mondo e dello spirito, concedendogli quanto di norma era severamente vietato all’uomo: non solo accedere ai segreti che si celano oltre la dimensione fisica ma utilizzare queste misteriose forze perché potessero obbedire ai suoi voleri.
La Clavicula Salomonis (Chiave di Salomone) è un testo che la tradizione vuole scritto dal Re stesso allo scopo di educare il figlio ai grandi misteri, perché vi si accostasse con il giusto rispetto e con la conoscenza iniziale sufficiente a domarne le forze per evitare che sul regno del Popolo Eletto si abbattesse l’ira di Dio.
Il suo scopo, purtroppo, non venne raggiunto. La Bibbia racconta che durante il regno dell’erede di Salomone scoppiò una guerra che portò alla divisione del regno (nelle due nazioni di Israele e Giuda) e la sapienza esoterica si perse per lungo tempo.
Il trattato è stato riscritto e contaminato molte volte nell’arco dei millenni, ha offerto spunti per molti testi esoterici successivi e ancora oggi è ritenuta una lettura fondamentale per chi si accosta alla magia evocativa, anche se permangono dubbi sulla sua effettiva antichità.
Il testo insegna a conoscere il mondo dello spirito, a sapere quali forze invocare in soccorso a seconda del risultato che si desidera ottenere, delle ore del giorno o della notte in cui si effettua l’evocazione. Gli spiriti possono essere chiamati utilizzando la volontà dell’evocatore unita a segni particolari che lo legano all’obbedienza.
Il mago, inoltre, deve saper disegnare i giusti circoli entro cui effettuare l’evocazione perché essa abbia effetto. Il testo ne illustra diversi, spiegando le loro peculiarità. Se e quando la potenza evocata si manifesta, occorre apostrofarla con le parole più adatte, mostrando assoluto rispetto. Il testo offre delucidazioni anche su questo aspetto della faccenda.
L’edizione in questione è curata dalla Zorro Editore e la traduzione dall’inglese è di Gabriele Giorgi. Il lavoro svolto - nonostante una citazione di Dan Brown in copertina che sarebbe stata da evitare- sembra essere buono, in quanto viene specificato che la versione andata in stampa è stata approntata comparando le versioni più antiche della Clavicula di cui abbiamo conoscenza, vale a dire alcuni manoscritti medievali e rinascimentali, separando così le radici comuni del testo (più attendibili) da eventuali aggiunte o modifiche riscontrabili solo in una particolare versione (probabili contaminazioni successive).
Questo testo va affrontato con la giusta dose di rispetto, ma evitando i facili entusiasmi di chi pensa di poter esercitare con la lettura e l’imitazione magia di questo tipo. Per chi crede e pratica la magia, quella evocativa è la più pericolosa fra tutte; è da approcciare con cautela e solo in seguito a uno studio approfondito delle materie esoteriche e spirituali.
Per chi non si applica in questo genere di attività, rimane una lettura interessante che offre uno spaccato alternativo della tradizione ebraica, notoriamente contraria alla magia e al contatto con il mondo dello spirito ma paradossalmente alla base di tanta tradizione esoterica occidentale.
Un buon punto di partenza per avvicinarsi a una diversa branca della conoscenza.

lunedì 23 luglio 2012

Lamento di una maggiorata

Questo libro è dedicato a tutte le infelici, là fuori, che sopportano giorno dopo giorno il peso (psicologico, ma anche dannatamente fisico) di un seno enorme, giunonico, ingombrante. Non si tratta di uno sfogo che possa generare simpatia in una donna con un seno normale o inesistente. Non è una tragedia che possa essere compresa da chi un seno grosso se l’è andato a cercare con il lumicino, facendosi riempire il petto di silicone ora sfoggiato con una soddisfazione abbastanza grottesca (voglio dire…è finto e si vede!).
Parlando da donna che è sempre stata preceduta dal proprio seno, “Lamento di una maggiorata” non sarà del tutto condivisibile nemmeno dalla categoria presa in esame. E’ comunque un modo ironico e schietto di trattare un argomento che mette in imbarazzo tante giovani donne, là fuori, e su cui non tutte riescono a scherzare.
Simona Siri pubblica il suo divertente sfogo, a metà tra l’autobiografia e la dissertazione psicologica sui danni prodotti dal portarsi appresso una tale mole, con la casa editrice Tea.
Ci racconta delle sue velleità di ballerina classica, amaramente ridimensionate da una insegnante bacchettona ma anche dall’evidente impedimento fisico che un gran seno comporta, rovinando non solo le linee del corpo ma diventando protagonista di indesiderati “movimenti tellurici” e conseguenti incidenti di percorso traumatici.
Analizza come il complesso del seno grande abbia condizionato tutta la sua adolescenza e come la società di oggi sia poco attenta alla categoria delle maggiorate. Provate ad andare a comprare un vestito, una canotta o della biancheria intima una volta superata la terza misura, coppa C! Per trovare sufficiente posto al seno, vi scoprirete coperte da un delirio di stoffa informe che vi farà sentire un elefante anche se portate la taglia 40!
Passa poi ad analizzare il suo rapporto con gli uomini e il rapporto di questi ultimi con il seno in generale…e il suo in particolare! Che l’uomo ne sia attratto è una verità vecchia come il mondo. L’autrice cerca disperatamente di capirne il perché, lei che tanto lo odia, anche se involontariamente finisce per servirsene per tenere legate a sé le proprie conquiste.
Il seno è nemico e amico, compagno d’avventure e scomodo ostacolo alle ambizioni, simbolo di un genere di donna in cui l’autrice non si identifica eppure parte integrante della sua esistenza.
Alla fine si rimane piuttosto deluse dalla decisione dell’autrice. Dopo tutti gli anni trascorsi a cercare di comprendere come accettare il proprio corpo, sfruttarlo a proprio vantaggio invece di subirlo come una condanna, a valutare le reazioni di uomini e donne di fronte a cotanta generosità di natura, si assiste a una resa.
Il percorso compiuto si arena sulla decisione di sottoporsi a una operazione di mastectomia e ridurre chirurgicamente quel seno mai veramente accettato e avvertito come parte di sé. Il “nemico n°1” verrà ridotto ai minimi termini e tanti saluti.
Per una lettrice che, come me, vive con lo stesso problema dell’autrice (un seno sproporzionato per la propria struttura fisica) la cosa fa storcere parecchio il naso. Si tratta di vita vera, senza alcun dubbio, ma il sospetto nato già dalle prime pagine – che, cioè, Simona Siri sia ancora prigioniera del suo complesso del seno grosso e che non abbia mai superato le insicurezze dell’adolescenza – diventa certezza leggendo le ultime righe.
Non è un bel messaggio verso chi, magari, è ancora nel pieno di queste incertezze, questi imbarazzi apparentemente ingestibili. In realtà, per quanto il seno grosso sia una dannata scocciatura e l’industria della moda ci ignori totalmente costringendoci a salti mortali per riuscire a vestirci in maniera decente, esistono modi di esaltare la propria “dote naturale” per apparire al meglio. Bisognerebbe essere in grado di accettarsi per ciò che si è tirando fuori il meglio da quello che si ha, invece di pensare che l’unica soluzione sia il bisturi di un chirurgo.
Comunque, per quanto il messaggio finale sia un po’ discutibile, la lettura è scorrevole, divertente, senza pensieri. L’autrice ha una prosa simpatica e accattivante, spiritosa e autoironica. Ci si affeziona alle sue vicissitudini, alle persone che entrano nella sua vita e trovano una parte in questa “odissea del seno grosso”, ci si ritrova a tifare per lei nei momenti di difficoltà e di incertezza.
Una perfetta parentesi di svago estiva, un regalo spiritoso per chi porta la croce di essere “tettona”. Prima, però, accertatevi che l’amica in questione possieda la necessaria capacità di prendersi un po’ in giro, mi raccomando!! Buona lettura!

lunedì 16 luglio 2012

Arte e percezione visiva

L’arte visiva, perché sia efficace, deve rispondere a requisiti che soddisfino – o mettano in discussione con proprietà di mezzi – le facoltà percettive del fruitore dell’opera. Oggigiorno ci si improvvisa artisti senza avere conoscenza né teorica né intuitiva di questa fondamentale materia, motivo per cui circola tanta pseudo-arte di discutibile valore. In generale, tanto più il risultato percettivo è univoco e comprensibile, tanto più l’artista è riuscito nel suo intento.
Quali sono queste leggi percettive? Come si diventa coscienti di esse e del loro utilizzo nell’arte? E’ possibile trovare dei punti fermi da cui partire per ottenere delle basi univoche, universali?
Il trattato “Arte e percezione visiva” di Rudolf Arnheim si prende l’onere di rispondere a queste domande, complicate sotto ogni punto di vista e oggetto di uno studio ancora da approfondire. In un ampio volume edito in Italia da Feltrinelli, l’autore risale alla base delle facoltà percettive dell’essere umano, cercando attraverso l’analisi artistica e la sperimentazione diretta su un campionario di fruitori di porre delle basi costituite da regole fisse.
Avvalendosi di numerose immagini e esempi a contorno del testo, Arnheim si interroga sul discernimento dell’immagine cercando di separare la percezione visiva che va a sedimentarsi attraverso l’esperienza (condizionata dall’ambiente culturale e dall’educazione visiva del fruitore) da quella innata dell’essere umano, che obbedisce a talune regole sempre identiche indipendentemente dal background della persona presa in esame.
Per fare ciò, l’autore offre ampio spazio all’analisi dell’evoluzione del tratto e della rappresentazione artistica del bambino, dal primo sgorbio ai disegni più complessi. Ciò che inizialmente si manifesta come movimento puro (pensate agli scarabocchi a circolo continuo) con il tempo si trasforma in una rappresentazione della forma, di solito circolare. Il cerchio, infatti, è la forma più semplice che la nostra mente concepisca.
Inizialmente il bambino sarà in grado di comprendere solo le direzioni orizzontali e verticali, le più semplici, arrivando per gradi ad assimilare il concetto di diagonale. Inoltre, per il bambino il mondo viene rappresentato non nella ricerca di una verosimiglianza formale ma in quanto significato, summa dell’oggetto d’interesse, cosa che si ritrova in molta arte che noi definiamo primitiva o immatura.
L’analisi di Arnheim rivaluta questo modo di percepire e rappresentare la realtà facendo notare come anche la rappresentazione realistica dell’arte occidentale non sia altro, a conti fatti, che un coacervo di convenzioni percettive, le quali ci rimandano una visione della realtà ma non la rappresentano affatto per quello che è (pensiamo alla prospettiva, allo scorcio, alle deformazioni del corpo umano del tutto plausibili a livello pittorico ma non riscontrabili nella realtà).
Il saggio si articola attraverso diversi capitoli che prendono in esame differenti aspetti della composizione artistica e dei fattori percettivi.
Si parla della forma, dello spazio, della dinamica e dell’impressione del movimento, trattando gli aspetti prettamente tecnici. Ci sono capitoli sullo sviluppo e sull’espressione che analizzano il processo formativo della percezione artistica. Si parla inoltre del colore e della luce, aspetti fondamentali per la comprensione visiva.
Il linguaggio del saggio è, per forza di cose, piuttosto complicato. Arnheim si sforza di utilizzare un vocabolario che non sia troppo specifico, di nicchia, ma gli argomenti trattati sono difficili e la lettura del saggio richiede una grande attenzione, una concentrazione “da studio” ben diversa da quella di una semplice lettura e, magari, la stesura di appunti in parallelo per essere sicuri di aver capito i punti fondamentali di ogni capitolo. Fortunatamente, le tante illustrazioni aiutano a tradurre visivamente le teorie percettive analizzate e avvicinano a una maggiore comprensione delle opere d’arte.
Si tratta di una lettura fondamentale per gli studenti d’arte, ma anche per psicologi (infantili e non), educatori e per chi lavora nel campo della pubblicità. Un saggio che richiede pazienza e qualche sforzo ma che saprà ripagare chi vi si applicherà seriamente.

martedì 10 luglio 2012

Se il sole muore

Non è un reportage giornalistico, anche se chi lo scrive è una giornalista in missione speciale presso – nientemeno – la NASA. Troppo umano, troppo personale. Allora un diario? In parte. Sicuramente vi è segnato tutto quanto l’autrice ha fatto, pensato, indagato; tutte le persone che ha conosciuto, le conversazioni, le discussioni, perfino le litigate che hanno costellato il suo lungo viaggio in più riprese. Una cronaca di viaggio, quindi? Un viaggio dello spirito, più ancora che fisico. Un viaggio verso il futuro possibile, verso un mondo che sembra non avere più bisogno del passato, un mondo duro e tecnologico che nella sua apparente freddezza nasconde le scintille di un sogno vecchio come l’umanità: superare se stessi, sfidare Dio.
“Se il Sole muore” di Oriana Fallaci è tutto questo e molto più, ma a conti fatti può essere definito una lunga, dettagliata e toccante lettera a suo padre, acceso nemico dell’avventura spaziale che non riesce a capire l’interesse della figlia per quei dannati aggeggi che profanano lo Spazio e per quegli uomini che non sanno comprendere quanto sia bello e giusto rimanere sul Pianeta Terra.
La Fallaci prese tanto sul serio questa diatriba con il padre da partire per gli Stati Uniti ed entrare a stretto contatto con tutto ciò che concerneva la nuova avventura spaziale. Siamo nei primi anni ‘60, l’uomo si prepara ad andare sulla Luna, la tecnologia si evolve a ritmi frenetici, quasi spaventosi. La società americana si è completamente piegata alla nuova era spaziale: niente è più interessante o utile se non correlato alla corsa allo spazio.
L’autrice si trovò catapultata in un mondo in cui i bambini parlavano di propellenti per razzi con la competenza di adulti, lavorare per la NASA era come far parte di una setta religiosa e ogni traccia di bellezza naturale veniva cancellata per far spazio al nuovo, all’artificiale, a ciò che era veloce e comodo. Un trauma, per una donna cresciuta tra le colline del Chianti, che la farà tendere per qualche tempo verso le convinzioni paterne.
Poi, però, la Fallaci fu messa a contatto con quelli che pensava eroi: gli astronauti. E qui inizia la vera e propria comprensione del sogno dello spazio: dal dialogo e dalla vicinanza con persone alla fin fine normali, a volte anche troppo, ma che per questo sapranno essere ancora più preziose, coraggiose, speciali.
Con il suo solito stile ironico, pronta a prendersi gioco di tutto (perché in primo luogo prende in giro se stessa) come a commuoversi e commuoverci con i suoi sogni e il suo senso del bello, del prezioso da riscoprire nell’uomo, la Fallaci compone una sinfonia di accompagnamento verso la Luna, il Futuro, ciò che diverremo (o che si desiderava diventare…purtroppo non stiamo mai al passo con i nostri sogni).
Questa stupenda lettera al padre è scritta in un italiano inframmezzato da pungenti tocchi di toscano, utilizzato senza remore anche nel riportare parole di gente anglofona che con l’Italia non ha nulla a che fare. E’ il carattere che vi si adatta, il carattere baldanzoso e un po’ incosciente di quegli States che ci arrivano tramite la penna della Fallaci, quel Paese che voleva schizzare nel futuro sui razzi figli delle armi che avevano flagellato l’Europa sotto il nazismo. Un orrore trasformato in sogno, trasformato a sua volta in delirio che non può che avverarsi traumaticamente o sfumare in qualcosa di più calmo e razionale.
Sono le persone, vere e senza filtri, che rendono speciale questo testo che sembra una storia di fantasia ma non lo è: Ray Bradbury, lo scrittore che riusciva a guardare al futuro amando perfino la paura che esercitava su di lui; Donald Slayton, costretto da un minuscolo difetto cardiaco a rinunciare alla Luna e accontentarsi con coraggio di un lavoro dietro alla scrivania; Theodore Freeman, un poeta nella tuta d’astronauta, che morì in un incidente aereo senza aver mai potuto volare nello Spazio; Charles Conrad, detto Pete, sempre pronto a scherzare su tutto e a sollevare il morale a chi gli stava attorno; e Oriana stessa, una donna straordinaria capace di calarsi in questo ambiente per lei straniero fino a diventarne parte e comprenderlo, offrendocene poi un ritratto nitido come una fotografia a colori.
Un libro speciale, splendido, forse uno dei migliori che io abbia mai letto.

venerdì 6 luglio 2012

Angeli dell'abisso

“Angeli dell’abisso” è un romanzo a sfondo storico di Enrique Serna, pubblicato da Edizioni E/O; un acquisto improvvisato, scelto come regalo per la stupenda copertina (errore che non bisognerebbe mai compiere) ma risultato un ottimo acquisto.
E’ ambientato in Messico, durante la dominazione spagnola, in un momento in cui la presenza azteca sul territorio era ancora radicata, anche se a fatica, e tentava di mantenere le proprie tradizioni, combattendo l’invasore e in particolar modo la nuova religione del Cristo e della Madonna, che stava togliendo al popolo non solo la libertà ma – peggio ancora - le proprie radici.
Gli aztechi, infatti, dopo i massacri del passato avevano iniziato ad assuefarsi alla dominazione, a trovare un posto nella nuova società trapiantata dalla Spagna, diventando di fatto servi dei dominatori e facendosi coinvolgere dal proselitismo cattolico, portato avanti dai missionari con le buone o con le cattive.
E’ in questa atmosfera tesa che si muovono i due protagonisti del romanzo, giovanissimi figli di un Paese bigotto e ripiegato su se stesso: Crisanta, una giovane creola figlia di un’attrice fuggita di casa, e Tlacotzin, un ragazzo azteco.
Mentre la ragazzina tenta in ogni modo di seguire le tracce materne, ostacolata dal padre ubriacone e in apparenza profondamente religioso (ma capace di approfittare della figlia in un raptus di violenza), Tlacotzin si trova a incarnare la dicotomia del suo intero popolo.
Cresciuto dal padre, sacerdote delle antiche tradizioni, in giovane età viene portato dalla madre in una missione, ribattezzato Diego ed educato alla religione cattolica. Il lavaggio del cervello lo porta a rinnegare gli antichi Dei. La morte del padre, però, lo getta in una crisi di coscienza cui l’incontro con Crisanta darà il colpo di grazia.
I due, innamorati, fuggono insieme per fare gli attori girovaghi. Il malanimo di un ecclesiastico, un padre domenicano vizioso e pieno d’ambizione, spezzerà l’idillio e li costringerà a separarsi. Tlacotzin si riavvicina alla religione antica, macchiandosi di crimini contro la Chiesa, proprio mentre Crisanta si spaccia per finta beata inscenando crisi mistiche – grazie alle sue doti d’attrice – per spillare soldi agli aristocratici.
Le loro azioni finiranno per mettere a rischio le loro stesse vite, in un finale toccante e avventuroso, degna conclusione di una trama mai scontata.
Lo stile di Serna è ironico, deciso, senza fronzoli inutili né ampollosità. La storia si dipana con una semplicità accattivante, che invita a continuare la lettura fino in fondo. Senza pause, senza stancarsi, alternando momenti di preoccupazione per i due protagonisti a sonore risate per i piccoli e grandi imprevisti che costellano la loro vicenda.
I personaggi sono tutti tratteggiati con accurata precisione, regalando ritratti di tipi umani perfettamente plausibili. L’ecclesiastico ipocrita, gli aristocratici dalla doppia faccia, le vecchie beghine, il capocomico poeta e conquistatore di fanciulle. Ogni personalità possiede qualcosa di speciale, vivo, vibrante.
Il romanzo, oltre ad essere una lettura avvincente, spiritosa, piena d’avventura, è anche una fonte inesauribile di informazioni su argomenti interessanti e poco trattati, quali la situazione messicana negli anni d’oro della Spagna, l’attività missionaria nei Paesi conquistati, la disperata resistenza culturale di un popolo che stava per essere cancellato dalla Storia, il fenomeno delle estasi religiose e la beatificazione per consenso popolare.
Serna ci presenta uno spaccato storico che non è familiare al lettore e, più in generale, allo studente occidentale, abituato a considerare gli eventi dal punto di vista europeo.
Una lettura adatta a qualsiasi palato, perfetto perfino sotto l’ombrellone. Vi assicuro che non resterete delusi.