domenica 25 novembre 2012

L'Uccello Beffardo

Peter Foxglove, giovane rampante al servizio del Governo britannico, è convinto che il suo viaggio di lavoro a Zenkali, rigogliosa isola tropicale sita tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, sarà una piacevole parentesi. In fondo, il suo incarico prevede solo di affiancare tale Hannibal Oliphant, consigliere del re dell’isola, la quale sta per ottenere l’indipendenza dall’Impero Britannico ed è coinvolta in fondamentali trattative per la costruzione di una base di importanza strategica.
Basterà il viaggio d’andata su una carretta del mare comandata da un gigantesco greco dall’ospitalità ingombrante e gestita da un equipaggio zenkalese con la testa tra le nuvole a distruggere le sue illusioni. Zenkali è un’isola tutta matta, i cui abitanti vivono in una dorata, amichevole e prosaica ingenuità. La follia sembra respirarsi con l’aria, perché anche gli occidentali che vi abitano sono tutti molto particolari.
Hannibal è un vulcanico concentrato di carisma e sapienza. Il re si fa irrispettosamente chiamare Kingy, governa con benevolo piglio dittatoriale e ha creato posti di lavoro fondando un servizio taxi con barroccini che sostituiscono le auto e un sistema di posta che consiste nel far correre qua e là dei messaggeri muniti di bastoncini biforcuti per consegnare i Libri (semplici foglietti di carta). Nel tempo libero crea cocktail micidiali.
Il Governatore è un timido senza nulla da dire, sua moglie un’eccentrica sorda come una campana che alleva galline faraone. Il giornale locale è gestito da un irlandese sempre ubriaco che inanella errori di stampa decisamente creativi. I missionari sull’isola vanno da belanti sacerdoti che predicano l’Apocalisse a una Reverenda americana che insegna ai suoi fedeli come costruire case o fabbricare bombe!
In tutto questo caos, Peter ha come unica alleata la giovane e bella Audrey, figlia d’Irlanda cresciuta sull’isola. Si accorge presto, però, di amare Zenkali e le sue bizzarrie; questo lo porta a non avere in grande simpatia il progetto della base militare, fortemente voluta da suo zio e da uno strisciante ministro locale, Looja.
Per puro caso, Peter stesso diventerà la causa di un’accesa diatriba sull’argomento. Durante una gita nella foresta, scopre con Audrey una valle nascosta in cui sopravvivono due specie viventi, credute estinte, di enorme importanza storica per Zenkali: l’albero Ombu e l’Uccello Beffardo, dio ancestrale della principale tribù dell’isola. La notizia fa scoppiare il caos e mette a rischio il progetto di inondazione delle valli per la base militare, facendo affluire a Zenkali un’incredibile quantità di gente pronta a dire la sua pro o contro il progetto.
La moderna lotta tra il Progresso e la Natura sta per avere inizio.
Lo scoppiettante, coloratissimo e dissacrante romanzo di Gerald Durrell ci conduce in un mondo di favola con abbastanza legami alla realtà da far sogghignare anche il lettore meno maligno. L’autore, con la sua prosa al vetriolo capace di dipingere nella mente del lettore tipi assurdi che riescono a incarnare perfettamente caratteri quasi archetipici, un po’ come fossero maschere di teatro, ci presenta un campionario umano del tutto folle, esilarante e dotato di disarmante simpatia.
Allo stesso tempo ficca il dito nella piaga degli arrivisti, i calcolatori, gli affaristi senza scrupoli, che qui appaiono sotto vesti quasi grottesche, come se faticassero nel non rivelare una natura tanto maligna perfino nei tratti nel volto o nella postura del corpo.
Le piccole manie, sull’isola si ingigantiscono tanto da diventare segnali identificativi del ruolo e del carattere delle singole persone, in una vertiginosa corsa verso il delirio.
Le descrizioni naturalistiche non si possono definire meno che meravigliose. Senza sommergere il lettore di dettagli, utilizzando colori così vividi da essere quasi accecanti, Durrell dipinge un’isola-tipo dell’Oceano Indiano e ce ne regala non solo la visione, ma anche il profumo, il sapore, la gioia di vivere. Il suo amore per la natura, i meravigliosi luoghi in cui la vita l’ha condotto, prendono sostanza sotto la sua penna, trasportandoci in un viaggio di favola che aprirebbe il cuore al più grigio cittadino.
“L’Uccello Beffardo” è un romanzo per tutti, un’avventura gioiosa che regala un minimo di ottimismo verso il futuro.

domenica 18 novembre 2012

Manuale completo del fai-da-te

Questa recensione è dedicata a tutti gli imbranati cronici che in casa non sanno aggiustare nemmeno un soprammobile rotto, ma in particolare alle donne come me, una categoria che spesso i problemi se li va a cercare con il lumicino e nell’arte di arrangiarsi non eccelle (dai, ammettiamolo…).
La maggioranza delle donne tende ad affidarsi al padre, al fidanzato/marito o agli amici per qualunque problema sorga in casa, anche il più minuscolo. Non che non sarebbe in grado di cavarsela da sé, ma di norma non si sa da dove cominciare e si è inibiti dal sacro terrore di fare dei danni (sempre dietro l’angolo). Il problema è che, oggigiorno, anche tanti maschietti stanno perdendo la buona abitudine di conoscere i fondamenti per le piccole riparazioni, ricorrendo quasi sempre ai professionisti che si fanno pagare lautamente ad ogni uscita.
E’ proprio necessario sganciare fior di quattrini per cose che potremmo benissimo riparare da soli, con poca spesa e una certa soddisfazione?
Di solito è una domanda di questo tipo che conduce all’acquisto di un manuale come quello che vi vado a presentare, edito dalla Giunti. Nel mio caso, lo stimolo è stato il trasloco in una casa che era stata un po’ bistrattata dall’affittuario precedente e aveva bisogno di parecchie piccole riparazioni.
Il manuale, stampato su carta spessa e completamente a colori, si propone di spiegare in maniera semplice anche a chi è digiuno di bricolage e lavoretti vari come procedere. Si divide in macrocapitoli, facilmente individuabili anche senza aprire il libro grazie all’utilizzo di un bordo continuo colorato ben visibile anche a volume chiuso. Gli argomenti principali sono a loro volta suddivisi in capitoli tematici più piccoli.
I testi si compongono di una prima parte che illustra brevemente i materiali specifici, con una panoramica che abbraccia anche le nuove tecnologie, le innovazioni ecologiche e gli accorgimenti che permettono un risparmio energetico. Si passa quindi all’elenco (corredato da foto o illustrazioni) degli strumenti di lavoro, la cui conoscenza è indispensabile per affrontare al meglio i lavori che ci si accinge a mettere in atto.
Dopo aver fornito le prime basi, ogni macrocapitolo si divide in schede che illustrano uno specifico intervento di riparazione o costruzione. Questo viene spiegato passo per passo sia attraverso il testo che tramite le illustrazioni esplicative. Ogni operazione viene anche valutata in base alla difficoltà e corredata di consigli utili ad una maggiore comprensione delle possibilità estetiche, dei problemi che possono insorgere, delle questioni burocratiche che può essere necessario sbrigare prima di accingersi a grossi lavori di modifica alle abitazioni.
Il primo capitolo tratta dei lavori in muratura per interni ed esterni, oltre che degli impianti di riscaldamento e delle coperture. Il colore che lo contraddistingue va dal rosa antico al rosso sangue, seguendo la difficoltà dei lavori proposti. E’ un capitolo eccellente, molto chiaro nonostante la materia non sia affatto semplice, una volta usciti dai piccoli ritocchi o dall’erezione di semplici muretti.
Il secondo, di colore blu, passa invece al tema dell’idraulica, tasto dolente per quanto riguarda il costo delle riparazioni. Per quanto ben fatto, al contrario del precedente questo capitolo finisce per essere un po’ troppo tecnico, vagamente oscuro per chi è completamente digiuno. Forse si tratta di cose che si possono imparare solo guardandole fare, ma credo che meno tecnicismi avrebbero migliorato la situazione.
Il capitolo sugli impianti elettrici, di colore giallo, è preciso e chiaro, esauriente. Dopo una spiegazione tecnica abbastanza complicata, offerta al puro scopo di far comprendere quali siano i fattori cui un elettricista di professione deve tener conto, il resto delle spiegazioni risulta lineare e facile da seguire, consentendo anche a una come me, d’ora in poi, di sostituire un interruttore o una presa di corrente senza far saltare in aria la casa.
La falegnameria, di colore rosso-arancio, risulta appassionante e attraente, grazie alle proposte creative che chiudono il capitolo, dopo le spiegazioni di rito sui legni e le loro proprietà, gli strumenti specifici e i principali metodi di assemblaggio o riparazione.
Delizioso il capitolo sui lavori in giardino, anche se prevede una manualità decisamente più esperta rispetto ai precedenti interventi proposti, degna continuazione delle imprese che troviamo alla fine del capitolo sulla muratura.
Per concludere, una parentesi spiritosa e molto utile sui piccoli lavoretti che possono essere svolti da sé per la manutenzione della propria automobile, caratterizzata da un bel colore viola.
Un manuale riuscito, anche se a tratti ondivago, che può dare un grosso aiuto a chi in casa non sa dove mettere le mani!

sabato 10 novembre 2012

Dracula

Sembra una perdita di tempo recensire un romanzo di cui tutti hanno sentito parlare o hanno visto almeno una versione cinematografica. “Dracula” può essere classificato come il padre di tutti i moderni vampiri, da quelli dei film dell’orrore degli anni d’oro alle figure più alla moda e dotate di fascino pallido e palestrato degli ultimi anni.
Eppure, quanti di voi appassionati del mostro notturno assetato di sangue ha mai letto davvero il romanzo capostipite, quel “Dracula” di Bram Stoker da cui il fenomeno mediatico ha avuto origine? Temo che la risposta sia: pochi. Molto pochi. Tenendo conto del fatto che praticamente non esiste una versione cinematografica fedele al romanzo, è come dire che ben pochi di voi conoscono la storia di Dracula.
Una delle versioni più fedeli che il cinema ci abbia regalato è proprio quel “Dracula – di Bram Stoker” per la regia di Francis Ford Coppola, che segue quasi pedissequamente la vicenda originale ma dà molto spazio al punto di vista del vampiro (cosa assente nel romanzo, come vedremo), trova una giustificazione d’amore all’assalto che egli porta a Mina e conferisce una nota umana e struggente alla figura di Vlad Dracula, analizzato anche dal punto di vista storico (il famoso Principe di Valacchia) ben oltre le intenzioni dell’autore. Questo aggiunge, più che togliere, qualcosa alla storia…ma ci sottrae le suggestioni e le atmosfere agghiaccianti della versione originale. Con lo scopo di scavare più a fondo, senza dubbio, ma non possiamo comprenderlo senza aver letto prima il romanzo.
Perciò, eccoci. Iniziamo con un brevissimo riassunto della trama.
Il giovane legale Jonathan Harker si reca in Transilvania per concludere una transazione immobiliare con tale Conte Dracula, ora proprietario di una casa a Londra. Il giovane si troverà imprigionato in un castello di orrori, con la vita appesa a un filo dopo aver scoperto che il suo ospite è un vampiro il cui scopo è infiltrarsi nella moderna società inglese. In Inghilterra, nel frattempo, lo attende la fidanzata Mina in compagnia dell’amica Lucy, una bella giovane corteggiata da ben tre pretendenti (il nobile Arthur Holmwood, il dottor Seward e l’avventuroso americano Quincey). Dracula arriva in Inghilterra e, mentre Mina raggiunge il futuro sposo fuggito dal castello, uccide Lucy nonostante gli sforzi per salvarla dei suoi innamorati e del medico/stregone Van Helsing. I quattro amici sono costretti a dissacrare il corpo di Lucy, diventata a sua volta vampira, e con l’aiuto di Jonathan e Mina si mettono sulle tracce di Dracula per fargliela pagare. Il Conte, però, contamina anche Mina grazie all’aiuto del suo schiavo Renfield, ripagato con un’orribile morte, prima di ripartire per l’Europa in attesa di tempi migliori. L’ultima caccia al Male ha inizio…
La cosa che balza agli occhi, in questo romanzo in forma di epistola e diario, è che il punto di vista è univoco, pur se affidato a più voci. Sembra una contraddizione in termini, ma a ben guardare il diritto di parola – e di cronaca – è affidato in via esclusiva alle voci di chi combatte il vampiro. Dracula non ha alcuna possibilità di spiegarsi, di affidare i suoi pensieri al lettore, di comunicargli i suoi piani o le sue brame. Nessuno di spiraglio di comprensione ci viene aperto per farci comprendere cosa pensa la mente criminale.
Dracula è il protagonista ma non parla mai, se non in brevi scene e tramite il filtro della scrittura altrui. Dopo le prime scene al castello con Jonathan, in cui dimostra la sua abilità dialettica e la sua erudizione, fa la sua comparsa solo in minuscoli momenti, restando quasi sempre presente sulla scena come opprimente argomento di conversazione e nemico invisibile. Eppure, non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di offrire la palma di protagonista agli altri, a chi ci parla dall’inizio alla fine e combatte pagina per pagina contro questo Male venuto dal cuore dell’Europa.
Perché? Quale fascino tremendo suscita anche in noi lettori il Principe voivoda (qui Conte)?
Jonathan, Mina e gli altri amici rappresentano la razionalità, il pragmatismo e i valori del Bene borghese in lotta contro il sensuale e violento Male che giunge da un buio passato. Per combatterlo, però, devono rivolgersi a una scienza che è anche magia e religione, nelle mani di Van Helsing, e quindi sprofondare in un mondo dapprima negato che non consentirà più a nessuno di loro di tornare ad essere quelli che erano o vivere una vita normale. Van Helsing accusa spesso Dracula di avere un cervello fino ma infantile; eppure, Dracula riesce a gabbarli praticamente fino alla fine. Forse tacciare il Male di infantilismo è un modo per tentare di sminuirlo nonostante l’evidenza del suo potere di influenzare quanti ne vengono in contatto.
Per quanto il romanzo termini con l’affrettata morte di Dracula, il vampiro ha vinto. Ha portato la Notte, il Sesso, la Paura nelle menti di chi viveva nell’ovattata sicurezza della moderna società. Ci ha raccontato che la morte non è sempre la razionale fine dell’esistenza.
Ancora adesso, pur temendolo, non possiamo fare a meno di lui.

sabato 3 novembre 2012

Karma e reincarnazione

La questione della reincarnazione è argomento di grande risonanza anche in Occidente da alcuni decenni a questa parte. L’apertura alle religioni orientali e alcune scuole filosofiche, oltre alle discipline parapsicologiche, hanno messo in dubbio l’ipotesi (cattolica, ma non solo) che la nostra anima sia immutabile e legata ad una sola vita sulla Terra, una singola possibilità che poi ci porterà alla nostra destinazione definitiva in base alle esperienze vissute.
A questa visione spirituale dell’esistenza si contrappone la teoria delle reincarnazioni, che prevede il passaggio dell’anima da un’esistenza all’altra nel corso delle ere. L’energia non si distrugge, ma si trasforma; inoltre, tende a riassumere una “forma” simile a quella precedente. Non potrebbe essere quindi plausibile il fatto che la parte incorporea dell’uomo cerchi di tornare, una volta slegata dalla parte materiale attraverso la morte, ad una forma che le sia simile e confortevole?
A questo fatto puramente scientifico, se vogliamo, si aggiunge il concetto di uno scopo nell’esistenza, un percorso che facciamo di vita in vita, probabilmente per raggiungere un livello di elevazione tale da poterci ricongiungere all’origine di tutte le anime, di tutte le energie. Riunirci a ciò che noi chiamiamo Dio, dopo aver imparato dall’esperienza incredibile della Vita.
Si raggiunge così il concetto di karma, che non è un equivalente del nostro “destino”…non proprio. Il karma è il nostro percorso esistenziale, che si costruisce man mano a seconda delle nostre azioni, delle nostre sofferenze o gioie. Il karma può trascinarsi da una vita all’altra, costringendoci a pagare i debiti accumulati nella precedente, ad affrontare paure mai risolte, a cercare persone con cui abbiamo creato in precedenza un legame spirituale. Quando tutte le tensioni positive e negative raggiungeranno un equilibrio, saremo liberi dal ciclo delle reincarnazioni e ci riuniremo alla Fonte.
Questi argomenti vengono affrontati con delicatezza e profonda maturità spirituale da Hiroshi Motoyama nel suo “Karma e reincarnazione”, edito da Hermes Edizioni.
L’autore è un sacerdote di una branca della religione giapponese, istruito e addestrato alla disciplina spirituale da una sacerdotessa che lo ha scelto fra tanti come proprio discepolo in base alle esperienze della sua vita precedente.
Il nucleo principale del saggio riguarda appunto il ciclo delle reincarnazioni, il concetto di karma e le esperienze che il sacerdote e coloro che si sono rivolti a lui per avere aiuto hanno vissuto in prima persona, oppure a cui hanno assistito. La casistica è ampia e varia; a favore dell’autore va detto che egli non cerca mai, in alcun modo, di imporre la propria visione del mondo al lettore, o di portarlo a credere inconfutabilmente in ciò che racconta. Egli si limita a condividere la propria esperienza e il proprio percorso spirituale, lasciando massima libertà al lettore di pensarne quello che preferisce e di ricevere o meno spunti che possano condurlo a una propria verità.
Anche per questo motivo, e in totale coerenza con l’atteggiamento giapponese in generale, Motoyama si rivela estremamente rispettoso verso tutte le forme di religione, di cui parla con coscienza di causa avendole studiate e avvicinate allo scopo nobilissimo di comprenderle (l’autore è anche un uomo di profonda cultura, storica e scientifica).
L’esperienza, purtroppo, ci insegna che un tale atteggiamento è molto difficile da ravvisare non solo nel pensiero ufficiale di molte religioni, ma anche nel criterio del singolo individuo. Motoyama, se anche non si vuole condividere alcunché del suo pensiero religioso, si rivela comunque pagina per pagina un uomo saggio, cui portare rispetto.
Motoyama parla del proprio percorso karmico, che l’ha condotto ad assumere il ruolo di sacerdote e guida spirituale. Tratta quindi con dovizia di particolari le teorie orientali e indiane sulla reincarnazione, sui centri energetici del corpo umano (chakra) e su come essi siano legati allo stato di salute non solo del corpo materiale, ma anche di quello spirituale.
Offre inoltre un’ampia casistica di esperienze tratte dal contatto con i fedeli del tempio, che si sono rivolti a lui per risolvere problemi di ogni sorta. Avendo la capacità di comunicare con il mondo dello spirito, Motoyama ha spesso trovato le risposte nel passato, nel karma accumulato precedentemente dai questuanti e ora diventato causa di problemi e disturbi che chiedono risoluzione.
Parla inoltre di entità spirituali senzienti con cui ha avuto contatto e che l’hanno portato a conoscere più a fondo i “meccanismi” che regolano la dipartita delle anime dal corpo e la loro condizione prima della successiva incarnazione.
Un saggio straordinario, gentile ed estremamente interessante.