lunedì 29 luglio 2013

La moda - Storia della moda del XX secolo

Quest’oggi vi presento un testo artistico della casa editrice Taschen che è anche catalogo del Kyoto Costume Institute, un compendio sulla moda del XX secolo basato sui prodotti della haute couture raccolti nella collezione dell’istituto. La magnifica sequenza fotografica, nitidamente stampata a colori su carta lucida, è corredata da didascalie informative, descrizioni e da due brevi saggi.
Il primo, scritto dalla professoressa universitaria Reiko Koga, illustra brevemente la concezione della figura femminile e dello stile a cavallo tra XIX e XX secolo. In pochi anni, la moda conobbe un cambiamento radicale e sempre più veloce, cambiando completamente, di volta in volta, la linea del corpo femminile, i materiali, gli accessori.
Partendo da gonne ancora ampie e lunghe fino ai piedi, corsetti a vita stretta e una linea a s che era l’epitome della perfetta figura, si passò ad abiti con gonna alla caviglia, senza panieri o imbottiture. Il corsetto divenne meno costrittivo, si cercò di rendere almeno gli abiti da giorno più comodi da portare. La rivoluzione avvenne con gli anni ’20 e con la passione per il ballo (charleston), con le prime avvisaglie di un desiderio di emancipazione della donna.
I vestiti si accorciarono fin sopra al ginocchio. La linea dell’abito divenne dritta, senza aderenze, con la cinta abbassata fino ai fianchi. Veli, frange, colori più azzardati e accessori estrosi (cuffiette, cappelli piumati, boa) contribuirono a dare un primo assaggio di moda innovativa. A questo stile si affiancò la moda garçonne, che faceva indossare i pantaloni anche alle donne.
Negli anni ’30, ’40 e ’50 si ritorna a una ricerca della femminilità, dapprima con abiti aderenti e lunghi, fluttuanti, nati per esaltare le curve del corpo; poi con giacche, camicette e gonne sotto al ginocchio, in un mix di eleganza e pudicizia data anche dalla povertà degli anni di guerra, che non consentivano grande estro. Infine, negli anni ’50, si torna a sottolineare la vita stretta con abiti a gonna ampia, colorati e femminili.
Il secondo saggio, di Rie Nii, curatore dell’Istituto, offre una panoramica della moda contemporanea. Si parte dalla rivoluzione degli anni ’60, con le sperimentazioni artistiche e di materiali unite a una tendenza a scoprire il corpo (nascono le minigonne e i costumi da bagno ridotti). Negli anni ’70 nasce la moda unisex e da quel momento in poi tutto è concesso, portando a collezioni di moda che spesso nascono e muoiono sulla passerella, frutto più di concezioni astratte sulla valenza del corpo, del colore, dei tessuti che del reale desiderio di “vestire”.
La galleria di immagini è magnifica, ci si perde nei dettagli, nella perfezione della realizzazione dell’abito. Non per niente, la haute couture è sempre stata caratterizzata, oltre che da un’inventiva fuori dal comune, da una competenza tecnica di taglio e di decorazione che è impossibile trovare in un normale capo di sartoria.
Ogni immagine è preceduta da un piccolo specchietto esplicativo che fornisce maggiori dettagli sullo stilista, sulla moda del periodo oppure sui materiali utilizzati negli abiti presi in esame. Ogni fotografia, poi, è corredata da una didascalia che fornisce i dati essenziali (stilista, tipo di abito, etichetta, anno di fabbricazione) e una descrizione più accurata.
Il volume offre una panoramica della moda del XX secolo molto ampia, se non completa. Sfogliandolo si unisce il piacere estetico dato dalla bellezza indiscutibile dei prodotti di sartoria alla comprensione dell’evoluzione della moda nell’ultimo secolo, in un perfetto raggiungimento dello scopo fondante di un volume come questo.
Come sempre, la Taschen offre un ottimo prodotto editoriale e artistico, utile a tutti coloro che si interessano di  fashion design ma anche, più in generale, agli appassionati del “bello”.

lunedì 22 luglio 2013

Ring



Ring”, prima di diventare un fenomeno cinematografico di primaria rilevanza sia in patria sia negli Stati Uniti (con un remake che fa acqua da tutte le parti), è un inquietante e innovativo romanzo dell’orrore scritto da Koji Suzuki, pubblicato in Italia da Nord nel 2003.
Tutto comincia con la morte misteriosa di alcuni ragazzi. Il giornalista Asakawa, zio di una delle vittime, si imbatte per caso negli strani dettagli che uniscono i quattro decessi in maniera sospetta: tutti i ragazzi sono morti alla stessa ora per quello che il medico legale ha giudicato come arresto cardiaco improvviso. Inoltre, i giovani si conoscevano e frequentavano al di fuori della scuola.
L’istinto di giornalista di Asakawa lo spinge a indagare su questa vicenda e lo porta a recarsi nel luogo dell’ultima gita del gruppo di amici, una struttura di vacanza e svago in una località di montagna. Là, cercando indizi, trova un’inquietante videocassetta.
Il video, formato da immagini apparentemente innocue eppure capaci di scombussolarlo, termina con una maledizione: chi ha visto la cassetta morirà entro sette giorni, a meno che…Fine. Il resto del messaggio è stato cancellato. Asakawa non può prendere sottogamba la minaccia insita in quelle poche parole, classificandole come un macabro scherzo. Dopotutto, gli ultimi ad aver visto il video sono morti davvero!
In preda al panico per la mancanza di indizi su cosa fare per salvarsi, Asakawa coinvolge nella sua indagine l’amico Ryuji, scienziato e filosofo, un uomo dalle abitudini torbide e la mente acuta che guarda il video di sua volontà e trascina l’amico terrorizzato nella ricerca di colei che ha creato quel filmato con la sola forza dei propri poteri psichici: la bellissima Sadako, morta molti anni prima in circostanze misteriose.
Forse, ritrovare il corpo di Sadako e darle sepoltura annullerà la maledizione. Oppure no?
Narrata con una prosa fresca, senza fronzoli, fatta di frasi dirette e concise, la storia si dipana in una corsa contro il tempo, seguendo il crescendo d’ansia del protagonista e svelando senza false ipocrisie gli anfratti più bui e vergognosi della psiche umana.
C’è poco da simpatizzare sia con Asakawa che con Ryuji, il primo pusillanime e pronto a cedere al panico in ogni momento, il secondo sgradevole e cinico anche di fronte alla morte. Eppure, questi due amici sono pur sempre il baluardo di un’umanità che è minacciata dal Male incombente e in quanto tali sanno offrire scorci inaspettati di una profondità di sentimenti che li redime e li fa eroi di una battaglia impari.
L’innovazione nel romanzo di Suzuki risiede nella commistione tra i cliché dell’horror propriamente detto – fatto di maledizioni, morti orribili e macabri ritrovamenti – con il più sottile sintomo di inquietudine dato dai misteri della scienza e dalla malattia, flagello che le spiegazioni mediche non hanno potuto eliminare dal novero delle cose più terrificanti che possano capitare a un essere umano.
Come fanno notare gli stessi protagonisti del romanzo durante una discussione, i virus sono esseri naturali, eppure completamente alieni. Pare si siano sviluppati da geni cellulari pervertiti, eppure sono i peggiori nemici di un organismo vivente. Intelligenze aliene, assassini con una capacità di sviluppo, riproduzione e adattamento incredibile. Questi aspetti, replicati dallo spirito rancoroso di una ragazza morta che vuole vendicarsi sul genere umano, danno vita a un orrore senza precedenti, da cui nessuno può ritenersi al sicuro.
Questo aspetto della storia viene completamente cancellato nella versione americana, snaturando la trama e facendola diventare una semplice sequela di scene “ad effetto”, l’orrore fine a se stesso senza capo né coda. La storia continua con altri due romanzi, “Spiral” e “Loop”. Buona lettura!

martedì 16 luglio 2013

La grande storia della Prima Guerra Mondiale

Quest’oggi vi parlo di un’opera ponderosa, che riesce ad essere straordinariamente gradevole e coinvolgente nonostante le dimensioni e l’argomento trattato.
Sto parlando di “La grande storia della Prima Guerra Mondiale” di Martin Gilbert, edito da Mondadori, prima parte di un duo di saggi il cui proseguo naturale è “La grande storia della Seconda Guerra Mondiale”. Gilbert, celebre biografo di Churchill e storico di fama, si è cimentato nell’ardua impresa di presentare al lettore medio (non, quindi, allo storico o all’appassionato già esperto) un argomento ancora difficile, amaro, che conserva una drammaticità profonda.
A questo si aggiunga la difficoltà di mettere per iscritto l’immane quantità di dati e fatti risalenti a quattro anni di guerra su molteplici fronti, oltre alla necessità di trovare una chiave di lettura univoca che riassuma l’evento bellico sia nei suoi fatti salienti che nella valenza dell’esperienza umana.
Gilbert riesce a centrare entrambe le sfide, creando un saggio comprensibile a tutti, esaustivo e profondamente umano. L’autore fa principalmente il suo mestiere di storico, fornendo date e dettagli ben precisi in una scansione cronologica estremamente curata dell’intero episodio bellico. A questo, però, aggiunge una componente umana molto forte, raccontando ogni fatto saliente anche grazie alla testimonianza di chi l’evento l’ha vissuto oppure vi è morto, rimanendo nella memoria dei commilitoni e dei familiari.
Stralci di lettere a casa, memorie ritrovate negli zaini dei caduti, poesie. Tante, tantissime poesie frutto sia della speranza che della desolazione. Moltissimi soldati hanno affidato alle immagini evocative che possono trasmettere i versi poetici – ben più della prosa – speranze, orrori, disillusioni di un conflitto che sembrava eterno e che portava via vite a una velocità spaventosa, disumana. A questo immenso mare di testimonianze, Gilbert attinge copiosamente, dando voce a uomini coraggiosi e disperati che ormai sono consegnati al passato e a coloro che aspettavano di avere loro notizie, oppure lavoravano nelle retrovie per dare il proprio contributo.
Come si sa, la Prima Guerra Mondiale si ritiene iniziata con l’atto terroristico di Gavrilo Princip, un nazionalista diciannovenne che assassinò l’erede al trono austriaco e provocò la vendetta di Vienna sulla Serbia, accendendo la miccia di una polveriera europea che aspettava solo di esplodere.
Come ovvio, il gesto di Princip non è il vero punto di partenza di un sovvertimento tanto grande dell’ordine costituito e delle relazioni diplomatiche internazionali. Gilbert analizza le aspirazioni economiche e militari, nonché le tensioni politiche che già da decenni stavano prendendo piede in Europa, esacerbando i nazionalismi e il desiderio di auto-affermazione degli Imperi centrali.
Dopo l’assassinio, passeranno parecchi giorni prima che tutti si rendano contro che la macchina della guerra si è messa in moto e nessuno ha più modo di tirarsi indietro. La Storia si dipana di capitolo in capitolo, prendendo in esame periodi di pochi mesi per volta (sempre ben evidenziati come sottotitolo), seguendo le principali battaglie, i periodi di stallo o l’inizio di nuove operazioni diplomatiche e belliche.
Alla fine delle ostilità, Gilbert dedica gli ultimi capitoli a una panoramica dei patti e delle spartizioni post-belliche dei vincitori, alle sanzioni sulla Germania (le quali fomenteranno ulteriormente il risentimento dei tedeschi, che sfocerà nell’ascesa del nazismo e nella Seconda Guerra Mondiale) e alle iniziative per la Memoria, affinché le tragedie e gli eroismi della guerra non vengano mai dimenticati.
Un testo istruttivo, toccante, che può dare solo un assaggio di quello che accadde dal 1914 al 1918, ma ne fa sentire con chiarezza il sapore amaro.