martedì 27 agosto 2013

Richard Matheson - Tutti i racconti


La casa editrice Fanucci ha messo in opera l’ambizioso obiettivo di raccogliere in una collana tutti i racconti del grande scrittore di fantasy e fantascienza, rispettando l’ordine cronologico con cui essi vennero scritti, dal 1950 al 2010. La recente scomparsa del padre di “Ai confini della realtà” rende ancora più preziosa questa opera omnia.
Scrivere racconti non è facile. Il fatto che siano molto più brevi di un romanzo non costituisce un elemento di accessibilità, quanto una caratteristica micidiale. Non è affatto semplice creare una storia che stia in piedi e sia in grado di garantire uno svolgimento coerente nell’arco di poche pagine. Suscitare l’emozione, un sentimento di qualche tipo verso i protagonisti, diventa un’opera di cesello e di abilità pura.
Matheson, maestro di un altro grande novellatore del nostro tempo – Stephen King – e stimato contemporaneo del grande, e compianto, scrittore del fantastico Ray Bradbury, porta la distorsione, l’orrore, il disagio ultraterreno nella vita quotidiana, utilizzando un linguaggio diretto come uno schiaffo, ridotto all’essenziale, senza sbrodolare in descrizioni inutili, dettagli scientifici, parentesi fuorvianti.
L’autore immagina futuri fantascientifici di viaggi nello spazio, salti temporali, contatti con razze aliene. Gioca con i confini tra la vita e la morte, ci mostra come basta un piccolo dettaglio fuori dal tran-tran quotidiano a farci precipitare (più o meno a ragione) in un universo sconosciuto in cui le regole del gioco non sono più le stesse. Scandaglia pregi e difetti dell’animo umano mettendoli a confronto con paure ataviche e pregiudizi sul “diverso” che conosciamo fin troppo bene. Parla del sesso, della discriminazione e dei peggiori impulsi umani con una modernità disarmante, senza nascondersi dietro buonismi e moralità.
La raccolta si compone di quattro volumi; in questa recensione vi parlerò del primo, che raccoglie i frutti della fervida fantasia di Matheson dal 1950 al 1953. La fantascienza è il tema portante su cui si fonda la prosa dell’autore in questi anni, pur con excursus nel fantastico e nel racconto di pura tensione. In trentaquattro racconti, trascina il lettore attraverso un viaggio onirico e mai uguale a se stesso, caratterizzato anche da sperimentazioni di stile (come la riproduzione del nastro registrato di un interrogatorio o di una seduta dallo psicologo).
La fantascienza impera. “Sogni a occhi aperti” racconta di una realtà virtuale, sola spinta di un’umanità molle e alla deriva. “Terzo dal Sole” è la fuga da un mondo che sta morendo. “Le montagne della mente” racconta del viaggio di uno scienziato ipnotizzato dalle proprie onde encefaliche, specchio di vere montagne in cui si nasconde un segreto. “Ritorno” tratta dei viaggi nel tempo con uno struggente sguardo alla vita oltre la morte. “La cosa” ci parla di un mondo in cui la Scienza impera, decidendo cosa è vero e cosa no. “Guerra di streghe” unisce un tema addirittura medievale a guerre futuristiche in cui il potere della mente di poche ragazzine fa la differenza. “Prima che avvenga” ha per protagonista uno scrittore di fantascienza che vede realizzarsi pian piano tutte le proprie storie di fantasia, fino all’invasione aliena. “Fratello della macchina” è uno scorcio su un mondo in cui il confine tra uomo e robot si sta perdendo. “Sempre vicina a te” racconta dell’amore morboso di una badante aliena. “Appartamento a basso canone” insegna che dietro un’offerta vantaggiosa si nasconde sempre una fregatura. “Cuori solitari” avvicina via lettera una venusiana e un terrestre. “I diseredati” è una favola distorta che nasconde un piano diabolico. “L’astronave della morte” ci fa sprofondare nell’angoscia di un disastro preannunciato. “Il cerchio si chiude” tratta delle discriminazioni razziali attraverso il rapporto con i marziani. “Lazzaro II” vede un uomo risorgere dentro un corpo di metallo costruito dal padre. In “Bambina smarrita” due genitori scoprono nel peggiore dei modi l’esistenza della quarta dimensione. “L’ultimo giorno” è uno scorcio delle ultime ore del mondo, che sta per essere ingoiato da una stella di fuoco. In “Gravidanza indesiderata” si assiste al travaglio di una coppia scelta suo malgrado per un esperimento alieno.
Non mancano racconti che si inoltrano nel campo dell’horror. “Nato d’uomo e di donna” ci racconta di un bambino-mostro rinchiuso in cantina. “Figlio di sangue” e “Il vestito di seta bianca” si immergono nel tema gotico del vampirismo. In “L’abito fa il monaco”, un uomo viene letteralmente assorbito e sostituito dal suo vestiario. “Dai canali” è un interrogatorio seguito a un massacro senza spiegazione logica. “La giusta punizione” è un viaggio all’inferno per un vecchio poeta malvagio. Un uomo vede il proprio mondo scomparire pezzo per pezzo in “Eliminazione lenta”. Un’anziana signora è tormentata da una misteriosa telefonata in “Una chiamata da lontano”. Il tema della casa senziente viene trattato in “La casa impazzita”, in cui la dimora si vendica del proprietario violento, e “Casa Slaughter”, una sorta di omaggio a Poe e Lovecraft. “L’uomo che creò il mondo” è una straniante visita psichiatrica. In “Il matrimonio” si assiste al trionfo della superstizione. “Paglia umida”, infine, ci proietta dentro la terrificante vendetta di una moglie defunta.
Non manca qualche racconto fuori dagli schemi, come “La legione dei cospiratori”, finestra sulla paranoia; “Occhi di sceriffo”, un western; “Una stanza per morire”, racconto ambiguo tra il misterioso e l’indagine pura.
Questo ricchissimo scrigno è contenuto nel solo volume iniziale. Non vedo l’ora di affrontare il prossimo! Buona lettura!

martedì 20 agosto 2013

Il ritorno degli Dei

“Il ritorno degli Dei” di Massimiliano Venturini, edito da Il Ponte Vecchio, è un connubio non comune di giallo all’italiana e fantascienza, condito con un pizzico di cospirazione internazionale e un palese amore per l’arte.
L’ispettore Raul, appassionato di archeologia, viene chiamato d’urgenza a causa di alcuni misteriosi omicidi avvenuti nelle valli di Comacchio. Le vittime sono state ritrovate sepolte o affogate, con la testa avvolta in una rete da pesca e un reperto di matrice greco antica ficcato in bocca. Gli indizi sono pochissimi, la collaborazione della gente del posto verso un ispettore che proviene dalla riviera romagnola molto scarsa e Raul si trova a dover utilizzare spesso metodi poco ortodossi per cercare di districarsi in questa complicata faccenda.
Quando, finalmente, qualche informazione riesce a trapelare, Raul scopre di essere finito dentro una catena di eventi molto più grandi di lui. Tra società segrete greche, antiche aspirazioni naziste e reperti sorprendenti, Raul si troverà a fronteggiare il più grande segreto della Storia umana.
Dare un giudizio univoco su questo romanzo è difficile, in quanto il prodotto letterario riunisce in sé parecchi pregi e altrettanti difetti, rendendo complesso trovare un sistema di valutazione che riesca a tenere conto di entrambi.
Partiamo dai pregi. Venturini costruisce un giallo all’interno di un contesto prettamente italiano. Per quasi tutto il romanzo non si ravvisa alcun intento di scimmiottare romanzi e telefilm americani, che possiedono uno stile peculiare per ciò che concerne indagini di polizia, omicidi e mistero. Se ne sono letti e visti troppi per poter sopportare una brutta copia di matrice italiana. Venturini non cade nel tranello e ci presenta il territorio della riviera con tutta la sua quotidiana normalità. I personaggi sono italiani al cento per cento, rustici e un po’ maneggioni, sempre pronti a vivere in un limbo fra la legalità e i propri interessi.
Gli sforzi per creare un giallo tutto italiano sono evidenti e apprezzabili per un genere che sta ritagliandosi la sua buona fetta di mercato editoriale.
Il protagonista è non convenzionale. Venturini non fa nulla per mitigarne l’arroganza e la tendenza ad aggirare la legge per i propri comodi, creando un uomo plausibile e antipatico le cui vicissitudini si seguono volentieri, forse proprio perché non viene richiesto al lettore di partecipare emotivamente alle sue vicende.
Il fantastico fa il suo ingresso con un tema non nuovo ma inaspettato vista l’ambientazione “casalinga”: il decimo pianeta e la stirpe di divinità – forse aliena – che fece dell’Uomo un essere in grado di evolversi in civiltà progredite. Inoltre Venturini incentra gran parte della storia sul mondo dell’archeologia, parlandone con perizia e offrendo maggiore spessore intellettuale alla trama.
I tasti dolenti, purtroppo, inficiano la possibilità di una lettura scorrevole e godibile fino alla fine. In primis, l’autore e l’editore non hanno controllato a dovere le bozze prima della stampa. L’uso della punteggiatura è spesso errato; sono presenti parecchie ripetizioni e refusi che danno la sensazione di doversi impegnare in una corsa a ostacoli. Questo è un peccato, perché il lessico di Venturini è, al contrario, non scontato e molto gradevole.
I rapporti uomo-donna sono stereotipati, poco credibili, nonostante la giustificazione del carattere poco espansivo del protagonista. Di quando in quando, inoltre, le informazioni storiche elargite dall’autore diventano vere e proprie parentesi esplicative che sanno di saggio e risultano eccessivamente slegate dalla narrazione.
Il vero problema del romanzo, a parte gli errori, è il finale, accelerato fino allo spasimo e strappato alla radice italiana per cercare di tirare le fila della troppa carne messa sul fuoco, una sorta di trasformazione in film d’azione con conclusione pre-apocalittica. La filippica finale del protagonista esprime troppo palesemente i pensieri dell’autore in merito ai temi trattati e risulta fuori luogo.
“Il ritorno degli Dei” sarebbe molto più godibile dopo una decisa correzione delle bozze. Venturini, comunque, ha il talento di creare trame interessanti, che stanno scomparendo dal mercato. Un autore a cui dare un’altra possibilità.

lunedì 12 agosto 2013

Manoscritti segreti

Coloro che si interessano di misteri ed esoterismo, saranno sicuramente tentati dal saggio che vi vado a presentare oggi. Si tratta di “Manoscritti segreti” di Paolo Cortesi, edito da Newton Compton. L’autore si propone di presentare alcuni tra i testi dall’origine più controversa che la Storia umana ricordi, comparando le teorie sorte intorno alla loro nascita e al loro significato per poi fornire una propria opinione in merito.
La prefazione si sofferma sui libri che per antonomasia hanno fama di essere degli enigmi discernibili solo agli iniziati: i testi alchemici. In essi, infatti, niente è ciò che sembra. Ogni concetto assume un doppio significato da interpretare.
Il primo capitolo porta in luce le numerose scoperte di nozioni troppo avanzate negli antichi testi, squarci di invenzioni o concetti scientifici che noi associamo all’epoca moderna ma che con tutta evidenza sono stati riscoperti dopo secoli di oblio. Il secondo ci porta a Qumran e alla scoperta delle pergamene che hanno fatto tremare dalle fondamenta parecchi teologi. L’autore fornisce una breve storia dei ritrovamenti e delle analisi operate sui testi e pone l’accento su comportamenti sospetti dei professori coinvolti nell’indagine.
Per non dimenticare l’Egitto e i suoi enigmi, Cortesi ci parla del papiro Tulli, che gli ufologi hanno eletto a prova della presenza di ufo ed extraterrestri ma di cui manca l’originale e che potrebbe benissimo avere spiegazioni più comuni e quotidiane. Segue una piccola digressione storica e un’analisi del Sator, l’enigmatico schema di lettere dal significato ancora oscuro.
Si passa poi a un romanzo che risale alla fine del XV secolo e che rappresenta un mistero non solo per quanto concerne l’identità dell’autore (le ipotesi si sprecano), ma anche per le allusioni a rituali estranei alla religione cattolica e all’amore carnale come scelta del protagonista (tema pericoloso in un simile periodo storico). L’Hypnerotomachia Poliphili, che racconta la storia di Polifilo alla ricerca della sua Polia, fu edito dal grande Aldo Manuzio. Cortesi sposa la tesi secondo cui esso celi tracce degli antichi culti isiaci.
Un testo altrettanto antico ma ancora più misterioso è il manoscritto Voynich, un trattato recuperato in una biblioteca gesuita, ricco di disegni grossolani ma affascinanti e interamente scritto con caratteri incomprensibili, in una lingua sconosciuta. In molti si sono impegnati a trovare un codice di decifrazione, ma al momento si propende per pensare che esso sia un falso d’epoca, creato per spillare soldi all’imperatore alchimista di Praga.
Cortesi si occupa poi delle profezie di Nostradamus, mettendo in luce non solo quanto poco conoscesse quest’ultimo di astrologia, ma anche che le sue visioni si adattavano – guardacaso – solo alle porzioni di mondo e ai sistemi sociali a lui conosciuti. Per concludere si parla delle stranezze racchiuse nell’identità del grande William Shakespeare e delle intuizioni futuristiche di Tiplaigne de la Roche, che paiono anticipare di circa un secolo invenzioni quali la fotografia e la televisione.
Il principale difetto dell’opera, che di per sé ha il pregio di trattare argomenti di nicchia con un linguaggio colloquiale alla portata di qualunque lettore-tipo, è l’eccessiva enfasi data a talune affermazioni o a domande poste con il preciso scopo di sottolineare le perplessità dell’autore. Mi spiego: quando Cortesi è convinto di essere in presenza di dati “eclatanti” oppure vuole sottolineare i difetti di una teoria, utilizza in modo selvaggio il corsivo, come un oratore che avesse il vizio di sporgersi verso il pubblico nei momenti topici del discorso per accattivarsi partecipazione e consenso.
Le teorie di Cortesi sono, per l’appunto, teorie. Come tali andrebbero presentate. Invece, spunta fin troppo spesso questo tono da imbonitore che, lungi dal convincere della bontà di certe affermazioni, fa solo venire voglia di ottenere maggiori informazioni oggettive grazie a cui poter giudicare le singole teorie in maniera più obiettiva.
Se si tralascia questo particolare, comunque, una lettura godibile e ricca di spunti di riflessione. I misteri ci sono, questo è innegabile.

lunedì 5 agosto 2013

Esopo - Favole

Una delle più antiche raccolte di favole occidentali è il corpus di testi ascrivibili a Esopo, personaggio dai tratti mitici al pari di Omero, probabilmente proveniente dalla Frigia. Fabulatori successivi, come Fedro e i novellatori medievali, si sono ampiamente ispirati a lui e alla struttura semplice e diretta delle sue favole.
Non è facile districarsi attraverso le fiabe che gli sono attribuite. Gli specialisti hanno cercato di epurare la raccolta da testi di palese provenienza medievale (aggiunte durante le trascrizioni degli amanuensi) ma per alcune favole l’attribuzione è controversa. Di quando in quando, la morale finale sembra pretestuosa oppure non del tutto coerente con il reale significato della favola. Probabilmente ci si trova di fronte ad aggiunte successive.
Si tratta sicuramente di una tradizione orale sedimentata nella cultura locale che ha trovato, per mano di Esopo, uno sbocco nella scrittura (ricordiamo che per molto tempo è esistita un’accesa diatriba intellettuale tra il mondo della cultura orale e quello della parola scritta).
Le favole di Esopo sono caratterizzate dalla brevità e dalla morale finale che riassume il concetto o l’insegnamento precedentemente enunciato attraverso la narrazione. Molto spesso i protagonisti sono animali, personificazioni di vizi e virtù dell’uomo. Capita spesso di assistere anche al confronto tra uomo e animale, con alterne fortune. Più di rado, si narra di vicende prettamente umane o di dispute con le divinità.
Non posso giudicare la qualità della traduzione che vi sto presentando – a cura di Mario Giammarco per la Newton Compton Editori – in quanto non capisco mezza parola di greco! Posso però assicurarvi che la lettura della versione italiana è piacevole, moderna, spigliata. Il linguaggio è quasi sempre quotidiano, senza arcaismi volti a rendere l’antichità del testo a scapito della comprensione. Le favole sono numerate e accompagnate dal testo originale, in modo da poter essere oggetto di studio e lettura per chi compie studi classici o ha interesse in merito.
Non si tratta di favole per bambini, nonostante di norma si associ questo genere all’infanzia. Le tematiche trattate riguardano in prevalenza dinamiche sociali che assumono valore o possono essere comprese solo quando si entra nell’età adulta. Non tutte le favole intendono fornire un insegnamento, ma quasi tutte danno una lezione morale o di comportamento tra individui, oppure tra il singolo e la comunità.
Ci sono anche spunti riguardanti l’atteggiamento umano nei confronti del divino e della religione in sé, in un sottolineare difetti e abitudini scorrette che vanno al di là del periodo storico e culturale e si trascinano da sempre lungo l’esperienza umana.
Durante la lettura si incontrano con piacere le forme originali di fiabe che hanno accompagnato la nostra infanzia, come “Il topo di campagna e il topo di città”, nata per comunicare come le piccole, pacifiche cose siano migliori di ricchezze ottenute solo a prezzo di continui pericoli; “La lepre e la tartaruga”, gara di velocità in cui la costanza è premiata sulla prestazione invidiabile ma di breve durata; “La volpe e l’uva”, che insegna a non denigrare i nostri passati obiettivi solo perché non siamo riusciti a raggiungerli. Come già accennato in precedenza, la forma originale è molto cruda e diretta, ben diversa dai toni più dolci e narrativi delle versioni per bambini.
Non è una lettura da mandar giù in un sol boccone. Un po’ come per la poesia, va centellinata. Bisogna fermarsi a visualizzare e a riflettere, cercando da sé l’insegnamento in quanto letto, a volte ben al di là delle poche righe di morale presenti nel testo.