lunedì 24 febbraio 2014

Raja Yoga

Lo Yoga non è una serie di esercizi per migliorare la stabilità, la flessibilità delle articolazioni o per trovare uno stato di rilassamento che decongestioni dalle fatiche quotidiane. Lo Yoga è una filosofia completa, la cui meta finale è l’abbandono delle umane necessità, degli attaccamenti al mondo materiale, e l’ascesa e il ricongiungimento con il divino, per liberarsi dal ciclo karmico.
Ne consegue che la visione occidentale di questa complessa filosofia è una versione quantomai semplificata e riadattata a bisogni materiali di qualcosa che mira al contrario ad una dimensione prettamente spirituale. Gli esercizi fisici e la meditazione sono passi per l’elevazione verso il Tutto da cui siamo originati, non semplici sistemi per migliorare la propria salute o lo stato mentale.
Esistono numerose vie all’interno della filosofia Yoga. A detta dell’autore del saggio che vi sto presentando, il guru recentemente scomparso Swami Kriyananda, il Raja Yoga (Yoga Regale) li riassume tutti e in questo testo egli offre la possibilità di accostarlo tramite lezioni ben mirate. Il percorso sarà certo molto più lungo della semplice lettura del testo, quindi l’autore consiglia di non affrettarsi tra le pagine, ma di procedere di pari passo con la pratica, una lezione per volta, dedicandole tutto il tempo necessario.
Le quattordici lezioni, corredate da fotografie, sono suddivise in sette aree di attenzione, il cui approfondimento è progressivo allo sviluppo del praticante e alla sua comprensione dei paragrafi precedenti.
Ogni lezione si apre con una dissertazione puramente teorica sulla filosofia yoga. Occorre conoscere il sentiero che si è intrapreso, se si vuole che la parte più pratica del cammino abbia un senso e possa manifestare i suoi risultati. L’autore mette in luce le caratteristiche delle varie vie, pone l’accento su cosa occorre fare e cosa no (una sorta di comandamenti, se vogliamo), parla di Kundalini e Chakra e sottolinea l’importanza dei maestri spirituali.
Segue poi una parte pratica in cui vengono illustrate le posizioni yoga, poche per ogni lezione e proposte in ordine di difficoltà crescente. Corredate da foto, le spiegazioni si soffermano su come entrare in posizione, mantenerla e uscirne, ma anche in quali occasioni evitare accuratamente di praticarle. Per ogni posizione, sono illustrati i benefici fisici e non che se ne possono ricavare. Per ogni lezione viene poi proposta una sequenza di posizioni che possa seguire i progressi dell’iniziato e aiutarlo a padroneggiare gli esercizi senza strafare.
Si parla moltissimo delle tecniche di respirazione, per un uso più cosciente del valore energetico e purificatore del respiro, nonché per un allenamento al controllo che torna utile nei momenti di meditazione (i cui sistemi vengono a loro volta studiati in una sezione apposita).
Si parla molto delle capacità di guarigione delle pratiche yoga, prendendo in analisi patologie e rimedi che questa filosofia indiana tramanda. C’è anche un’ampia sezione riguardo all’alimentazione, con consigli pro o contro determinati alimenti – con una propensione per un’alimentazione di tipo strettamente vegetariano – e una serie di ricette di facile realizzazione.
In questo modo, il libro vuole offrire una panoramica quanto mai ampia a chi volesse avvicinarsi all’illuminazione tramite la pratica quotidiana dello yoga.
Il saggio è esaustivo, ben scritto, facile da leggere e da seguire pur nella trattazione di tematiche difficili. Il tono discorsivo, a volte persino spiritoso, mette a suo agio il lettore. Parentesi più scanzonate, come ad esempio le ricette di cucina, permettono di non sentirsi in soggezione di fronte al percorso proposto ma di pensarlo come qualcosa che possa essere soprattutto positivo.
Ci sono alcuni tasti dolenti. I consigli sull’alimentazione, ad esempio, sono pericolosi se seguiti senza discernimento. Privarsi di certi alimenti di punto in bianco per seguire queste lezioni sarebbe dannoso per la salute, lo sconsiglio vivamente. Per queste cose è sempre bene essere seguiti da persone preparate. Inoltre, di quando in quando, l’autore si lascia andare a commenti o battute un po’ troppo sarcastiche nei confronti di coloro che non seguono la via yoga, mostrando quel tot di presunzione che non è mai stato di mio gradimento.
In generale, un libro completo che può aiutare ad avvicinare questa affascinante materia.

martedì 18 febbraio 2014

Un uomo a metà


Trovo sempre encomiabili le iniziative volte a riportare l’attenzione sulle pagine più drammatiche e fin troppo spesso dimenticate della nostra Storia. Ancora di più, quando si tratta di offrire a una voce del passato la possibilità di comunicare a un pubblico più ampio, di raccontare le proprie vicissitudini, le esperienze vissute. Ho avuto il piacere e l’onore di lavorare per alcuni anni in un Museo della Memoria e sono particolarmente sensibile all’argomento.
Quanti di noi, in un cassetto o in qualche scatolone riposto in cantina o soffitta, conservano ancora i cimeli e le lettere dei nostri nonni e bisnonni, soldati di guerre che sembrano al contempo lontanissime negli anni e drammaticamente attuali?
Franco Garrone si concentra sul diario di un sopravvissuto alla Prima Guerra Mondiale, un Bombardiere del Re che ha trascorso gli anni dal 1916 al 1918 sul fronte a combattere contro gli austriaci e poi sul Caucaso, chiamato sul nuovo fronte per meriti di guerra. Il soldato Augusto Fantato tenne un diario dettagliato delle sue avventure, sfruttando al massimo l’istruzione elementare ricevuta, lasciando ai suoi nipoti un’eredità inestimabile di vita vissuta.
Scritto in stampatello e corredato di disegni e di numeri ben delineati, come per una passione nascosta per la gradevolezza grafica della pagina scritta, il diario di Fantato è rimasto per molti anni un semplice cimelio di famiglia, ma l’impegno di Garrone ne ha fatto un libro vero e proprio, intitolato “Un uomo a metà” ed edito da Edizioni Amande.
Il giovane Augusto, lasciati i campi per lavorare nelle ferrovie, ritorna a casa per vedere la madre spirare nel suo letto. Traumatizzato dal lutto, il ragazzo si licenzia e si arruola nell’Esercito, in totale disaccordo con il padre e gli amici. Il trauma è stato troppo forte e la perdita incolmabile gli ha instillato nell’animo la voglia di morire. Combattere per la Patria gli pare il modo migliore per farlo onorevolmente.
Di stanza alla caserma di Novara, Fantato si distingue durante l’addestramento per la propria mira. Una dolce simpatia per una ragazza del posto non mitiga le sue drastiche intenzioni ed essere scelto come Bombardiere del Re lo riempie d’orgoglio.
Inizia così la sua drammatica esperienza al fronte, ove viene a contatto con la morte e la disperazione. Il fato, però, sembra volerlo privare del destino che si è scelto. Piano piano, il suo cuore torna a vivere suo malgrado. Le lettere di Lisa, la morte di tutti i suoi ex-colleghi di lavoro, l’aver salvato e accudito due bambini scampati per miracolo a un bombardamento, gli restituiscono il valore della vita e lo portano a sperare nel futuro.
Il testo, strutturato come un racconto aperto rivolto al nipote, si conclude con la copia di alcune pagine del diario originale, che consiglio di non sfogliare pigramente ma di leggere con attenzione, per gustare la vera scrittura di Fantato, con gli errori ingenui e i termini desueti della sua epoca, commovente traccia del passato.
Per quanto abbia apprezzato l’idea e l’impegno profuso in questa iniziativa, resta qualche appunto da fare all’autore. Purtroppo la prosa scivola via con eccessiva velocità, consentendo ben poco di soffermarsi sugli avvenimenti e sui sentimenti del soldato Fantato. Per quanto un’operazione di pura inventiva sarebbe stata poco rispettosa, una maggiore analisi del diario avrebbe sicuramente offerto spunti per conferire più profondità alla narrazione.
Anche il linguaggio ha le sue pecche. Piuttosto spesso l’autore sceglie di mettere in bocca ai personaggi frasi troppo costruite per essere credibili. L’analisi della scrittura del soldato attesta che il giovane si esprimeva in maniera corrente, non con un linguaggio a volte troppo intellettuale. Inoltre, di quando in quando, l’autore utilizza alcuni termini in maniera impropria o imprecisa. Piccoli difetti che non fanno apprezzare appieno la lettura di questo testo; rimane comunque un bellissimo documento per tutti gli appassionati.

martedì 11 febbraio 2014

Fuori e dentro il borgo

Oggi mi occupo di una raccolta di racconti intitolata “Fuori e dentro il borgo”, edita da Baldini&Castoldi, scritta da uno dei più famosi personaggi della canzone italiana. Sto parlando di Luciano Ligabue, cantante e autore rock che vi sfido a non aver sentito almeno nominare.
Che il cantante piaccia o meno, che si sia suoi fan oppure no, si sappia che Ligabue sa scrivere anche in prosa, e bene. Ha un linguaggio che sembra nato apposta per la forma racconto; non si tratta nemmeno di narrativa vera e propria, quanto di una sorta di trasmissione orale della memoria messa poi in stampa.
Nella raccolta che vi presento, Ligabue dà voce a uno spaccato di umanità verace, vitale. Nelle sue pagine si affastellano personaggi che incarnano “maschere” comuni a tutte le piccole realtà. Lo spaccone, il drogato, quello che ha successo con le donne, il gruppo musicale del paese, la vicina di casa stramba, la protagonista di un fatto di cronaca…Parla di gente vera, che vive o ha vissuto, e la restituisce senza fronzoli, consegnandoci brevi flash tratteggiati con maestria e crudo verismo.
Il linguaggio è gergale, a volte aspro, duro, volgare, ma mai eccessivo. Segue l’andamento della narrazione, affianca con la dovuta sincerità personaggi e situazioni molto quotidiani, che ci restituiscono l’atmosfera di un paese della provincia di Reggio Emilia, come tanti altri, con i suoi personaggi caratteristici e quelle atmosfere infantili e adolescenziali che oggi sembrano perdute per sempre, eppure non sono ancora così lontane nel tempo.
C’è molto teatro in questi racconti, non so se volutamente o per un fortunato intuito. C’è la fabula, l’inestimabile momento di rievocazione e scambio del ricordo, un passaggio dal narratore all’ascoltatore (in questo caso, al lettore) di eventi passati, che così vengono salvati dal trascorrere del tempo e dalla sua tendenza a cancellare tutto e restituirlo all’oblio.
I brevi testi sembrano fatti apposta per essere letti ad alta voce, magari recitati come monologo. Funzionano, sono diretti e spontanei, privi di tanta artificiosità letteraria mascherata da gergo quotidiano che infesta larga parte della scrittura che vuole raccontare la vita “vera”.
Alcuni racconti ci trasportano nel periodo dell’infanzia del musicista, raccontando bravate giovanili oppure offrendo un ritratto fatto di pochi, semplici tratti delle persone che hanno segnato la sua vita o gli sono stati d’esempio. Spesso si tratta di parenti. Toccante l’omaggio, ad esempio, alla zia Rachele, di cui Ligabue stimava la forza di carattere e la coerenza.
Vi sono accenni all’esperienza radiofonica che è stata raccontata anche nel film “Radio Freccia”, per la precisione nel racconto “Radio fu”, il cui titolo già dice tutto su come terminò quell’avventura. Una piccola perla è il racconto “La Cianciulli e l’Ermelina”, dove Ligabue adotta un formato su due colonne per narrare contemporaneamente di donne dal destino molto differente, unite da una conoscenza comune e dall’avere più o meno la stessa età: la serial-killer Cianciulli, che uccideva le amiche e ne faceva a pezzi i corpi per ricavarne sapone, e la nonna Ermelina, la cui passione indefessa era il gioco del lotto.
Oltre ad aprire finestre sul suo passato, Ligabue si mostra senza timore anche nel presente. Sono parecchi i racconti (a volte quasi in forma di libero scorrere del pensiero) che trattano dei momenti sul palco – vedi “Primomaggio” o “Lucianone e Lucianino”- oppure del dietro le quinte o ancora delle interviste (sempre uguali, a ben guardare). Ne viene fuori un’esistenza sicuramente esaltante e piena di soddisfazioni, ma anche stressante, a volte così esigente da portarlo all’insofferenza (“Non sei diverso dalle altre puttane”).
Vi sono poi i racconti-ritratto, quelli che si incentrano su un personaggio caratteristico del paese o che gravita attorno all’entourage del cantante. Incarnazioni di figure quasi archetipiche, costoro vengono tratteggiati senza pietà, sia nelle storie più divertenti – come nel racconto “Fantastico Savana”, che raccoglie le balle raccontate in dialetto da un reduce di guerra - che in quelle più drammatiche, intense (“Il girotondo di Freccia”).
Una lettura non facile quanto può sembrare, da gustare pian piano, senza correre. Una bellissima raccolta di racconti in cui si respira un’Italia che fu e una sana dose di rock.

mercoledì 5 febbraio 2014

Le terzine perdute di Dante

L’eccezionale scoperta di Riccardo Donati promette di essere anche la sua condanna. Conducendo nuovi studi su una copia del Roman de la Rose, il giovane insegnante scopre alcune righe autografe del grande Dante Alighieri. Il passo successivo è un impulso a cui non si può sottrarre: trafugare il manoscritto dalla biblioteca per poterlo studiare con maggiore calma e capire se il suo futuro sta per essere illuminato dalla luce radiosa di una scoperta fondamentale.
Purtroppo, questo atto dà il via al crollo della vita di Riccardo, che si vede dapprima seguito, quindi in pericolo di vita. Uomini sconosciuti gli stanno alle calcagna, probabilmente a causa delle terzine del sommo poeta. Sarà una donna, Agostina, a salvargli la vita e aiutarlo nella fuga, grazie a una rete di amiche molto speciali pronte a nasconderlo. L’importanza delle terzine, però, supera ogni previsione: si tratta nientemeno che di una profezia, vergata da Dante stesso, che ammonisce contro un’imminente catastrofe.
Questa, in breve, la trama di “Le terzine perdute di Dante”, scritto da Bianca Garavelli e pubblicato da Baldini&Castoldi. Il romanzo si articola in un alternarsi tra le vicende di Riccardo Donati al giorno d’oggi e la Parigi che ospita Dante durante il suo esilio da Firenze, quando viene in contatto con filosofie passabili d’eresia e prende il via la stesura dei messaggi più profondamente spirituali della sua Commedia.
Contrariamente a romanzi come il “Codice Da Vinci” di Brown, scanditi in un’alternanza da feuilleton che dopo un po’ perde di mordente, gli spostamenti dal presente al passato non si danno il cambio di capitolo in capitolo – se non nelle primissime fasi – ma seguono con più armonia il dipanarsi delle vicende narrate, legando le vicende di Riccardo a quelle dantesche.
L’autrice si muove con disinvoltura e palese amore all’interno del mondo di Dante Alighieri, immergendo il lettore in una Parigi antica e stimolante, fatta di dibattiti intellettuali, inquisizioni e scontri all’arma bianca. Il poeta si palesa come uomo toccato dal dono della visione e per questo ambito da ogni “fazione” del pensiero spirituale. Saranno le donne della sua vita, Beatrice e Marguerite Porete, a condurre Dante verso la missione cui è predestinato.
Il protagonista odierno, invece, è il prototipo dell’intellettuale, il topo di biblioteca a suo agio solo in mezzo ai libri, che si trova gettato nei peggiori guai della sua vita. Pavido, debole, fondato sul raziocinio ma labile di sentimento, Riccardo non è esattamente l’uomo ideale.
Non stupisce, quindi, che la sua guardia del corpo in questa storia dai ruoli invertiti sia proprio una donna. Sportiva, decisa, mascolina quando serve ma dotata di un fascino degno del suo sesso (che il protagonista faticherà parecchio a percepire), Agostina è l’angelo custode di Riccardo e lo tirerà costantemente fuori dai guai. Si scoprirà poi che l’amica di sempre altri non è che un membro della confraternita al femminile (i cui nomi iniziano tutti per A) che da sempre protegge il messaggio dantesco e combatte perché la terribile profezia non si avveri. La Ragione priva di sentimento, la corsa alla conoscenza a qualunque costo, diventa il nemico da combattere per evitare la distruzione.
La donna è figura centrale in questo romanzo, incarnazione angelica che conduce al divino e sprone in grado di consentire l’espressione di quanto di meglio si cela nell’animo e nella mente dell’uomo. Sia la congrega di donne che si stringe attorno a Riccardo per difendere lui e la sua incredibile scoperta, sia le due fanciulle che segnano la vita di Dante, consentono ai protagonisti di sbocciare, di trovare la loro via nel mondo.
La prosa attenta e concreta della Garavelli perde un po’ di tono in alcuni momenti di dialogo, più che altro nelle parentesi di Riccardo Donati. Di quando in quando, la parlata si fa un po’ artificiosa, poco spontanea. Inoltre, capita che Riccardo commetta imprudenze troppo palesi, con l’evidente intento di condurlo a determinati eventi della trama, cosa che avrebbe dovuto essere condotta con mezzi più sottili.
Un modo non banale di approcciare il mistero storico, condotto da una scrittrice che possiede una vasta cultura letteraria utilizzata senza autocelebrazione. Una scrittura alla portata di tutti, che apre le porte alle meraviglie celate nell’opera dantesca ai lettori di qualsiasi livello culturale.