giovedì 24 aprile 2014

Doctor Sleep

Questa è la storia di Daniel Torrance, un uomo speciale che da bambino è scampato agli orrori di un hotel infestato di mostri ma che da adulto non è riuscito a sfuggire all’alcol e alla droga. Per ripulirsi e tornare a rispettare se stesso, Danny frequenta gli Alcolisti Anonimi e lavora in una casa di riposo per anziani, ove diventa famoso come Doctor Sleep per la sua capacità di accompagnare serenamente i pazienti al momento della morte.
A sconvolgere la vita ancora dissestata di Danny ci pensa Abra, una bambina col suo stesso dono, presa di mira da una tribù di vampiri della “luccicanza”, il potere psichico che li caratterizza. Il Nodo è sulle tracce della ragazzina e vuole ucciderla come ha già fatto in passato con tanti altri bambini. Inizia una lotta micidiale che riporterà Danny nei luoghi più orribili della sua infanzia.
Ovviamente, l’uomo che ha scritto “Shining” non è lo stesso che ha scritto “Doctor Sleep”. Sono passati molti anni, la scrittura di King si è modificata e i tempi sono cambiati. Questo si respira anche nel nuovo romanzo, che ha un modo di procedere e un carattere molto contemporaneo, in contrasto con le atmosfere anni ’70 che si respiravano all’Overlook Hotel.
Questo giusto per tenere buoni i puristi che avranno storto il naso al pensiero di un seguito di una pietra miliare nella storia dell’horror. King ha semplicemente risposto all’impulso di conoscere cosa è successo al piccolo Danny una volta cresciuto. “Doctor Sleep” è un romanzo a sé stante, leggibile anche senza aver gustato il capolavoro che l’ha preceduto.
Non mi soffermo sull’abilità di King nel tratteggiare personaggi e situazioni, non ce n’è bisogno. Voglio però sottolineare il coraggio dell’autore nel recuperare un “buono” per antonomasia e ficcarlo a testa in giù dentro una delle vite più schifose che ci si possa sognare per un bambino speciale e coraggioso. L’alcol che ha irretito e tradito suo padre ha chiesto di pagare dazio anche a Danny, imprigionandolo nella stessa maledizione e quasi cancellando tutti i suoi doni, ivi compresi l’intelligenza fuori dal comune e il buon cuore.
Danny è diventato un perdente, un rifiuto della società che avrebbe deluso sia la madre, ormai morta, che l’amico Halloran, perso di vista da un pezzo. Nessun lavoro che duri più di qualche giorno, la bottiglia sempre accanto, droga quando capita e ogni tanto una rissa scatenata da quella stessa nebbia rossa che ha fatto di suo padre uno dei mostri dell’Overlook. Un fallimento su tutta la linea. Chiunque sarebbe stato più clemente con un proprio, affezionato personaggio. Non King. La realtà fa quasi sempre schifo, e Daniel Torrance non si sottrae al calcolo delle probabilità.
Tirarsi fuori dalla palude e cercare di non morire prima dei quarant’anni prevede un cambio di domicilio, di frequentazioni, un impegno costante e senza sconti. Un vero e proprio riaddestramento presso la Alcolisti Anonimi, un lungo percorso di accettazione di se stessi e dei propri errori. E’ in questo che brilla il vero coraggio di Dan. Affrontare i mostri, salvare bambine in difficoltà, è certamente straordinario. Eppure, di solito il vero coraggio si dimostra nei piccoli gesti della vita di tutti i giorni. Nelle rinunce. Nel tener duro quando si vorrebbe solo annegare. Nell’offrire a chi sta peggio di noi la nostra presenza e il nostro aiuto, anche se fa soffrire. King è sempre un maestro nel tratteggiare persone vere e non stereotipi bidimensionali.
Abra è la versione del 2000 di questo bambino speciale ormai diventato grande. I suoi poteri sono immensi; la spaventano, ma le danno anche una sensazione di potenza che Danny non possedeva e che la rendono più arrogante e spericolata, meno capace di suscitare istinti protettivi. In alcuni momenti, anzi, perfino chi la aiuta è spaventato dalla forza che può mettere in campo e dall’aggressività senza freni con cui affronta chi la attacca. Un prodotto della società contemporanea, che rende i bambini molto meno innocenti di un tempo.
Come sempre, King si sbizzarrisce nel creare i “cattivi”, mostri che si nascondono tra noi travestiti da normali esseri umani. Peggio, un tempo lo erano davvero! Ora, cambiati dall’essersi nutriti dello “shining” come un vampiro del sangue, ne conservano le fattezze ma non la mentalità. Si spostano con camper superaccessoriati, sono ricchissimi e potenti, vivono in una tribù elitaria che gira gli Stati Uniti alla ricerca del cibo che li terrà sempre giovani. Un orrore subdolo perché celato sotto spoglie innocue, sadici torturatori di bambini speciali che non provano nulla verso le vittime ma sono ancora capaci di sentimenti l’uno per l’altro.
Una storia che forse si ammorbidisce troppo sul finire, ma che costringe a divorare una pagina dopo l’altra, come il Re ci ha abituati.

mercoledì 16 aprile 2014

Come rilegare i libri

Tutti, prima o dopo, abbiamo avuto la necessità di far rilegare qualcosa. La maggior parte delle volte si tratta di dispense universitarie oppure di cartelle di appunti personali o lavorativi. Un appuntamento molto comune è quello della tesi di laurea.
Di quando in quando, per chi ha la passione della scrittura, nasce la necessità di rilegare le proprie opere stampate, per uso personale oppure per una tiratura in copie limitate per la distribuzione ad amici e parenti. Ancora, può capitare di scoprire che uno dei nostri libri preferiti ha deciso di abbandonarci, perdendo la copertina o – peggio- qualche pagina.
In tutti questi casi, l’unica cosa che ci viene in mente di fare è recarci in una tipografia specializzata (spendendo spesso fior di quattrini) oppure recarci in negozi che effettuino la rilegatura a spirale, economica ma ingombrante e di scarsa durata nel tempo.
Eppure, imparare a rilegare da sé i propri libri non è così difficile e non richiede nemmeno un’attrezzatura particolarmente dispendiosa o ingombrante. Può trattarsi non solo di un buon sistema per risparmiare, ma anche di un’attività che offre una certa soddisfazione e può diventare espressione artistica nella scelta dei materiali e nella creazione di tomi ex-novo per agende, album fotografici, etc.
Il breve manuale “Come rilegare i libri” di Gianluca Marchesi, Marsilio Parolini e Vincenzo Sucato, edito con De Vecchi Editore, vuole proprio essere una guida alla portata di tutti che possa dar modo di imparare le tecniche fondamentali per confezionare da sé i propri libri ed effettuare le riparazioni di fortuna di quelli rovinati.
Corredato da molte fotografie a colori che seguono le spiegazioni passo per passo, il testo è adatto soprattutto a chi si avvicina per la prima volta a questo genere di lavori manuali. Con coerenza rispetto al contenuto, il libro è gradevole anche esteticamente, con una copertina in cartonato lucido e stampato su carta spessa e patinata.
Il capitolo iniziale introduce all’argomento offrendo per prima cosa un glossario specifico del libro e delle sue parti, con schemi esplicativi. Si passa poi alla descrizione di un laboratorio fai-da-te ideale, con un elenco degli strumenti necessari e loro funzione. Saggiamente, gli autori offrono alcune alternative ai ferri del mestiere più specifici e ingombranti (ad esempio, suggeriscono enciclopedie o altri oggetti pesanti in sostituzione delle presse professionali, in mancanza di spazi adeguati). Particolare attenzione viene data alla preparazione e alla stesura della colla per rilegare e ai materiali che possono essere utilizzati per creare le copertine.
Si passa quindi alle tecniche di unione dei fogli. Vengono illustrati diversi sistemi di cucitura, con ampio materiale fotografico d’esempio, e si mostra in che modo preparare la risma per la stesura della colla oppure come preparare un libro la cui copertina si è staccata per consentire la posa di una nuova.
L’argomento successivo è, logicamente, l’aggiunta della copertina. Per prima viene affrontata quella in brossura, più semplice e immediata, quindi si passa a quella in cartonato, che prevede più fasi e un’attenzione maggiore, oltre alla scelta del materiale di rivestimento adatto. A questo proposito si trova più avanti un capitolo ad hoc che illustra le caratteristiche di ogni materiale, sottolineandone sia le qualità che i punti deboli.
Il manuale offre molti spunti per la realizzazione di oggetti belli, oltre che funzionali, tramite un’ampia galleria fotografica di esempi e suggerimenti su come utilizzare i materiali di scarto o abbellire le rilegature con inserti di materiali differenti o nastri segnalibro.
Per concludere, vengono mostrati gli strumenti di punzonatura e di doratura per stampare i caratteri del titolo o le decorazioni “all’antica” sulle copertine.
Un testo agile e simpatico per avvicinarsi ad un’attività artigianale non molto conosciuta ma che può dare grandi soddisfazioni a chi ama i libri.

giovedì 10 aprile 2014

DNA

Il DNA è un acido nucleico contenuto, per l’appunto, nel nucleo delle cellule. Esso contiene la completa sequenza genetica di ogni essere vivente. Formato da due nucleotidi a doppia elica, si compone di gruppi fosforici, uno zucchero a cinque atomi di carbonio (il desossiribosio) e quattro diversi tipi di basi azotate, in grado di “incastrarsi” come chiave e serratura a coppie ben precise: adenina con timina, citosina con guanina. Dalla sequenza di incastri tra queste basi nascono le informazioni genetiche che danno all’individuo le caratteristiche basilari della sua specie e quelle personali che lo differenziano da chiunque altro.
Il DNA è un mistero potente e un’arma potenzialmente pericolosa, un miracolo che non cessa di stupire. Può servire a guarire malattie e a conservare specie in via d’estinzione come può costituire un mezzo di controllo sociale terrificante. Non stupisce che sia diventato motore di numerose fantasie letterarie. Il romanzo – o meglio, raccolta di racconti legati tra loro - che vado a presentarvi, fa della manipolazione del DNA il suo tema portante.
“DNA” di Rodolfo Viezzer, autore de “L’Uovo” che ho recensito qualche tempo fa, è edito in Italia con Aracne Editore. Racconti che inizialmente sembrano slegati l’uno dall’altro, tenendo la manipolazione del DNA come unica cifra d’unione, vanno pian piano assemblandosi in una narrazione univoca, in una storia completa vista attraverso molti occhi.
Nel primo racconto, si assiste all’efferato omicidio di un bambino. Solo le tracce di DNA scoperte sul giocattolo che portava con sé potrebbero dare indizi sull’identità dell’assassino. Le indagini della polizia vanno a intrecciarsi alla ricerca genetica di una scienziata cinese e porteranno a scoprire un triste segreto e ad un commovente atto d’amore.
Il secondo si immerge in un immaginario futuro in cui si è instaurato un nuovo regime autoritario con mire di conquista e controllo del mondo. L’arma definitiva, silenziosa e micidiale, consiste in un micro-ritrovato della tecnica installato nei corpi umani su scala mondiale e in grado di dare morte istantanea con la sola attivazione a base genetica. Le armi, però, sono sempre a doppio taglio…
La terza storia è una finestra su una piccola comunità gioiosa, che ha lasciato un mondo in guerra, grigio e diviso in caste ben precise, per trasferirsi su un altopiano lontano da tutto e tutti e vivere in pace, a contatto con la natura. Tutti sanno, però, che la magia potrebbe finire in qualsiasi momento. Se venissero scoperti, avrebbero solo due scelte: o rientrare nella schema sociale, o fuggire.
Nel quarto racconto, si scopre che i potenti della Terra hanno trovato modo di clonare se stessi per ottenere il potere, anche se i risultati non sono ancora ottimali e le grandi menti rischiano il cortocircuito. Nel successivo, una privilegiata che perde il suo status e viene esiliata in mezzo ai Verdi (la plebe condannata al lavoro), scopre che la vita vera è molto diversa dall’esistenza meccanica e liofilizzata che ha sempre vissuto e l’esperienza si trasforma in una corsa verso la libertà.
La sesta parentesi vede di nuovo protagonisti i cloni dei governanti, ormai attivi in più copie per volta, unire le forze per creare un super-dittatore. Nell’ultimo racconto, si assiste alla ricerca della città dei rifugiati, ormai diventata una specie di leggenda.
Purtroppo, contrariamente a “L’Uovo”, in questo caso Viezzer non riesce a centrare il bersaglio. Le sue idee sono ottime, molto vivide e interessanti. Non c’è banalità nei processi che lo portano a costruire le trame dei suoi racconti. I temi sono importanti, profondi, vanno a scavare nella psiche umana e nei meccanismi sociali, mischiando alla letteratura una denuncia della decadenza che caratterizza il consumismo e della tendenza mai sopita all’autoritarismo.
Proprio per questo motivo, però, la forma racconto diventa un’arma a doppio taglio. Le trame sono di troppo ampio respiro per essere contenute in così poche pagine. Ne risulta una trattazione affrettata, un rincorrersi di avvenimenti troppo celere che lascia disorientati e spesso insoddisfatti. Cose che avrebbero bisogno di quaranta pagine per essere espresse vengono concentrate in cinque. Questo taglia le gambe a una possibile affezione ai personaggi e non permette di soffermarsi a riflettere per un tempo congruo sugli argomenti sollevati.
Inoltre le pecche grammaticali e sintattiche sono molte, c’è un uso smodato del punto esclamativo e i dialoghi sono artificiali; queste caratteristiche vanno ulteriormente a rovinare l’effetto generale della raccolta.
Un vero peccato: i semi erano di ottima qualità, ma la pianta è cresciuta debole.

mercoledì 2 aprile 2014

La Mano di Gloria

In un futuro non troppo lontano, nello sfacelo sociale a cui hanno condotto le sconsiderate politiche occidentali, un gruppo di illuminati decide di portare il proprio attacco alla Cuspide, che nell’ombra governa le sorti del mondo. Chi per vendetta, chi per lucida scelta, chi per ideali di libertà, questi compagni si uniscono in una micidiale battaglia che possiede risvolti forse più profondi e antichi di una semplice rivoluzione del sistema: una lotta tra Luce e Tenebra, che affonda le sue radici nei sogni e in un passato ricco di poteri ormai dimenticati.
Questa immane saga italiana, scritta da Renato “Mercy” Carpaneto e suddivisa in tre volumi che non esito a definire mastodontici, è costruita con non comune intelligenza e coerenza. L’autore apre molteplici parentesi, inserisce nella narrazione moltissimi personaggi, eppure riesce a dipanare la storia riallacciandone tutti i fili anche dopo lunghe digressioni.
Non mancano, infatti, i momenti in cui ci si allontana – apparentemente – dalla trama principale. In un continuo passaggio tra il presente e il passato, l’autore ci svela fatti a volte molto lontani dal centro dell’azione. Inizialmente, il lettore può avere la tentazione di chiedersi se ce ne sia la necessità, magari guardando alla “pausa” con sospetto e un certo fastidio. A lungo andare, ci si rende conto che non uno di questi “fuori-pista” è inutile o corollario. Ogni vicenda narrata va a legarsi ai fatti principali, andando a formare un’importante frammento del mosaico finale.
La lotta senza quartiere de “La Mano di Gloria”  non nasce, come ovvio, da un giorno all’altro, né i personaggi si riscoprono paladini di una nuova giustizia senza esperienze pregresse che li abbiano condotti a tale decisione.
L’autore racconta le loro origini, dà ampio spazio alla storia delle famiglie che hanno dato i natali ai nostri eroi. Anche volendo fare i pignoli e i critici a tutti i costi, si rimane comunque affascinati e la lettura continua a scorrere senza problemi.
Il segreto, oltre a una buona prosa, risiede nella caratterizzazione dei personaggi. Ogni personalità de “La Mano di Gloria” è ben delineata, approfondita e peculiare. I protagonisti si fanno persone in carne e ossa, plausibili e perciò facili da amare o da odiare dal lettore. Uno spaccato di umanità varia, a volte portata perfino all’eccesso nelle imprese eroiche o malefiche di cui si fa promotore, eppure di rado sopra le righe o poco credibile. D’altronde, si sa che l’essere umano è capace di grandi cose quando i suoi intenti sono chiari e ha trovato la forza di tradurre le parole in azioni.
Il difetto dei romanzi, se vogliamo chiamarlo così, risiede nella stessa intelligenza con cui la storia è stata costruita. Si tratta di una lettura per pochi. Il gergo sfocia spesso nell’aulico e nel ricercato. Questo denuncia l’elevata cultura dell’autore (un soffio di speranza per la letteratura italiana) ma porta in superficie anche il calcolo con cui la prosa è stata ricontrollata e sistemata in fase di editing per ottenere una qualità lessicale di livello superiore, minandone in qualche punto la spontaneità. Abbondano i termini desueti, i sinonimi oggi quasi del tutto caduti nel disuso.
Per quanto la cosa possa ricordare con nostalgia la prosa dei primi del Novecento, e per quanto io apprezzi la cultura quando ne trovo, questa scelta opera una decisa discriminazione sul pubblico adatto a immergersi tra queste pagine. Il lettore medio, infatti, non è in grado di reggere la lettura di un simile romanzo. Le primissime pagine, una lunga descrizione, sono già in grado di fare da spartiacque tra chi avrebbe bisogno del costante supporto di un vocabolario e chi può permettersi di proseguire la lettura. Anche le molte digressioni richiedono un elevato livello di concentrazione nel lettore. Carpaneto sa passare facilmente a una scrittura più gergale, quotidiana, ma la si raggiunge dopo un buon numero di pagine, quando ormai il legame col romanzo si è instaurato o già interrotto.
Anche le ampie trattazioni sociali e politiche sono un’ulteriore sfida, che selezionano un gruppo ancora più ristretto di lettori appassionati, appartenenti a una cerchia fatta di interessi e ideali comuni.
Una saga che sceglie i suoi, scritta con magistrale abilità, e affiancata da un concept-album degli IANVA, il gruppo di cui l’autore è cantante.