mercoledì 28 maggio 2014

Erboristeria tutor

Ho un sogno. Un sogno modesto, in fondo, dettato dalla passione crescente per il potere curativo delle piante, forse acceso nel mio sangue dal bisnonno giardiniere che di queste cose se ne intendeva, e parecchio. Il piccolo sogno è quello di riuscire a mettere mano su un libro che mi spieghi davvero da dove cominciare per imparare a conoscere le piante, le loro potenzialità e a utilizzarle almeno a livello casalingo come rimedi per i mali più comuni.
E’ stato con questo spirito che ho acquistato il manuale che vi vado a presentare oggi: “Erboristeria tutor” di Anne McIntyre, edito da URRA Edizioni. La copertina promette: “Dalla conoscenza di base all’esperienza del professionista”. Andiamo a vedere se è vero.
Va detto subito che l’autrice è una vera professionista, il cui mestiere è proprio quello di curare i suoi pazienti con l’uso delle erbe. Le sue conoscenze non si limitano alla tradizione occidentale, ma sono state arricchite dallo studio approfondito delle filosofie e delle millenarie culture orientali. Si tratta, perciò, di una persona competente e ferrata sull’argomento.
Proprio per consentire a chi si avvicina alla materia di comprendere quanto sia vasto il tema e quante scuole di pensiero si siano affidate alle piante per riportare equilibrio al corpo e alla mente umana, il manuale prende il via con un ampio capitolo in cui queste tradizioni vengono illustrate in maniera semplice e interessante, offrendo uno strumento di conoscenza e comparazione che stimola all’approfondimento.
La fruizione del manuale cessa di essere alla portata di tutti sin dal capitolo successivo. L’autrice passa a illustrare i costituenti delle medicine erboristiche, utilizzando un linguaggio scientifico di livello troppo avanzato per i profani e senza un glossario che aiuti a districarsi con maggiore facilità. Il lettore alle prime armi non può leggere questo capitolo senza aver prima cercato altrove una spiegazione più “terra-terra”.
Successivamente viene illustrato, anche con gallerie fotografiche, quali sono i procedimenti standard di preparazione dei più semplici estratti: decotti, infusi, oli, unguenti, etc. La spiegazione ha valore generale e non specifico. Non si trovano ricette, ma solo indicazioni sulle proporzioni medie degli ingredienti e sui metodi di conservazione.
Si passa quindi al corpus principale del manuale, vale a dire un ampio schedario di piante officinali. Esso è preceduto da parecchie pagine con foto a colori delle piante, affiancate dal nome scientifico e da quello comune, per meglio osservare le particolarità della pianta ed essere poi in grado di riconoscerla dalle altre. A seguito della galleria fotografica, c’è il vero e proprio elenco di caratteristiche e proprietà, stampato su fogli verdi per permettere di riconoscere il capitolo anche a libro chiuso.
La scelta di separare le fotografie dalla spiegazione non è molto saggia e costringe il lettore ad andare a cercare la foto in un secondo momento, man mano che legge le caratteristiche della pianta. Un sistema decisamente scomodo, senza contare che molte piante non sono fotografate nella loro interezza, ma è presente solo il particolare della radice, o dei semi, cosa che lascia nell’ignoranza sull’aspetto della pianta all’origine. Vengono segnalati tutti gli usi possibili ma non c’è nemmeno una semplice ricetta d’esempio, cosicché tutto rimane su un piano teorico.
Molto interessante la sezione che prende in esame gli apparati del corpo umano, le patologie che possono affliggerli e le piante che possono essere utilizzate per alleviare o far scomparire le malattie. Purtroppo, anche in questo caso, non viene specificato come. Il manuale si chiude con un breve capitolo in cui viene spiegato a grandi linee come crearsi un orto ad uso personale e curare la coltivazione in base alle necessità delle piante prescelte.
Un testo di cui non si riesce bene a capire il target, con una grafica accattivante e un testo corredato da molte foto su carta lucida, come ad attirare il lettore medio, quando invece i temi trattati e il linguaggio sono assolutamente di nicchia e rivolti a professionisti del settore. Una certa confusione di intenti che rende inadatto questo manuale a chi si vuole avvicinare all’erboristeria. Consigliato solo a chi conosce la chimica e possiede altri testi da potergli affiancare per uno studio più pratico e meno empirico.

sabato 17 maggio 2014

Pantera

da www.qlibri.it

L’ultimo libro di Benni, appena uscito nelle librerie, è un dittico: una coppia di racconti con due fanciulle per protagoniste. La prima è “Pantera”, imbattibile fenomeno del biliardo, presentataci attraverso gli occhi adoranti di un adolescente in fase ribelle che si è fatto assumere come cameriere nell’inquietante e magica sala da biliardo dei Tre Principi, ove la misteriosa giocatrice regna incontrastata. La seconda è Aixi, una ragazzina che vive sulla costa, sensibile e selvaggia, il cui padre sta morendo di un male incurabile e il cui destino sembra essere quello di adeguarsi alle abitudini delle sue coetanee, per cui lei non prova alcun interesse.
Non è facile cercare di classificare la scrittura di Benni. I temi trattati sono adulti, a volte persino rudi, grezzi, quasi volgari. La forma narrativa, invece, si avvale della struttura della fiaba, con le sue figure archetipiche e le atmosfere oniriche, ove tutto diventa possibile. Ne risulta una favola destinata agli adulti, che parla il linguaggio della narrativa d’infanzia affrontando tematiche profonde che solo una psiche formata può arrivare a comprendere.
“Pantera” potrebbe tranquillamente trasformarsi in monologo teatrale e d’altronde Benni è altrettanto famoso come fecondo scrittore di teatro. L’autore titilla l’emozione, stimola la capacità di vedere personaggi e ambientazioni come se prendessero forma tangibile davanti agli occhi del lettore. Non è possibile rimanere indifferenti quando vengono pizzicate corde tanto profonde e con tale maestria. La tensione emotiva delle sfide al biliardo, la complessità del cuore di una donna, gli affetti perduti e il coraggio di ribellarsi al destino…Una commistione di età e di atmosfere che costruisce un mondo al contempo brillante e immerso in un fango torbido, oscuro.
La sensazione si avverte con estrema chiarezza in “Pantera”, costruito volutamente in un luogo liminare ove la vita di tutti giorni viene lasciata da parte per immergersi in una sorta di grotta oscura dove vincere è tutto, come succede al ragazzo che adora Pantera, il quale cerca in ogni modo di sporcarsi, di affondare, diventando membro di un mondo sotterraneo che però sa creare i suoi eroi. Nell’apparente leggerezza del secondo racconto, questa oscurità di manifesta in maniera più subdola, sottile, nelle consuetudini banali e consumistiche che tolgono spontaneità all’infanzia, come un veleno che corrode la magia dell’essere bambini.
Le protagoniste di entrambi i racconti sono giovani donne che la vita non ha graziato di particolare fortuna. Pantera è reduce da un’infanzia di soprusi da parte del padre, giorni di sofferenza che sono diventati leggenda e di cui nessuno conosce davvero i particolari. E’ stato allora che la piccola ha imparato a giocare a biliardo con il suo tocco micidiale, trovando da sé un territorio in cui essere padrona, imbattibile e intoccabile signora. Il suo personaggio inarrivabile è stato costruito ad arte e il nero di cui si veste serve a caratterizzarla quanto a nascondere il vero sé agli occhi di coloro che la sfidano.
Non è un caso se l’unico momento di cedimento le verrà dal suo opposto e complementare, quel magnifico giocatore vestito di bianco (un David Bowie campione di biliardo) che per la prima e forse unica volta le farà apparire una vita a due qualcosa di desiderabile invece che una condanna da evitare.
Aixi vive sola con il padre ormai malato terminale. La madre li ha lasciati, stanca della dura vita del pescatore, delle privazioni. Aixi vive ancora in un mondo in cui sogno e realtà convivono, una spiaggia di personaggi segnati dalla vita, che sanno vivere di espedienti e conoscono i segreti del mare e delle sue creature. Quali sogni può conservare ancora questa ragazzina che tra poco perderà tutto ciò che ha sempre amato e in cui ha creduto? Un atto di coraggio e incoscienza sarà la sua sfida all’ineluttabilità delle cose, un’affermazione di se stessa contro il destino e le trame di chi dovrà occuparsi di lei.
Una parola sulle illustrazioni di Luca Ralli, bellissime immagini in bianco e nero con un tratto dal sapore vintage, che si sposano alla perfezione con l’atmosfera dei racconti. Per quanto sia evidente l’intento fumettistico e quasi caricaturale delle illustrazioni, questo non toglie alcuna dignità all’opera di Ralli, che anzi interpreta in chiave grafica proprio quella ironia e quell’atmosfera da sogno che fanno da fondamenta ai racconti.

venerdì 2 maggio 2014

LIFE

Parlare di sé non è mai facile. Ancora più difficile dev’essere tirare le fila di una vita intensa fino allo spasimo, condita di leggende mai dissipate (volontariamente o per fantasia cocciuta di chi ci crede), densa di nomi, storie, fatti anche di portata storica. Un mondo magico e micidiale come quello della musica rock.
Keith Richards, il celeberrimo chitarrista dei Rolling Stones, ci si prova con questa imponente autobiografia, scritta con semplicità e senza fronzoli, senza maschere ma permeata di tutto il primordiale carisma che lo caratterizza. Per una volta, niente biografie scritte da altri, che sanno travisare o arrangiare ad arte i fatti e le parole, tratteggiando un personaggio che spesso si allontana parecchio dall’uomo reale, matto artista sempre sull’orlo dell’autodistruzione ma anche uomo di profondi affetti familiari e convinto assertore del valore dell’amicizia.
Richards condisce la sua autobiografia con alcune foto, private e non, dalla sua infanzia ai giorni nostri, una chicca per i fans. Con un linguaggio scarno ma preciso, racconta la sua esistenza fin dai primi anni d’infanzia, quando viveva con i genitori a Dartford, cittadina un tempo covo di banditi e nel dopoguerra triste angolo di provincia senza pretese.
I giorni di monello del giovane Keith erano già solleticati dalla musica. Il nonno musicista lo portava spesso a veder riparare gli strumenti, constatando il desiderio crescente del nipote per la chitarra. A scuola, la sua bella voce gli aveva valso il ruolo di soprano nel coro, unico raggio di sole in una carriera educativa noiosa, frustrante e densa di soprusi da parte dei compagni, cosa che gli insegnò ben presto a imparare a difendersi (ancora oggi Richards non si separa mai da pistola e coltello, che sa usare con maestria).
Le delusioni e la comprensione che gli adulti erano tutt’altro che infallibili, la percezione dell’autorità delle istituzioni come una prevaricazione dei propri desideri, condurranno Richards a quel fare ribelle che lo farà espellere da scuola mettendolo così nelle condizioni di dedicarsi a ciò che sapeva essere il suo destino: la musica.
Il chitarrista racconta quindi la difficoltosa genesi del gruppo originario dei Rolling Stones, i mesi passati a studiare come eremiti tutti i dischi del blues di Chicago, la difficoltà di ottenere serate e una paga che consentisse almeno di mangiare. Eppure, nonostante la difficoltà, tutti sentivano di poter sfondare, cosa che accadrà con una velocità sconvolgente, portando il gruppo in cima alle classifiche.
Richards non nasconde granché dei guai combinati da lui e dagli altri una volta entrati nel giro della discografia (per quanto il chitarrista non abbia mai amato lo star-system). Donne come se piovesse, un problema sempre più grave con la droga, culminato con una traumatica disintossicazione solo molti anni più tardi. I guai con la legge, veri o ricercati ad arte da quelle forze dell’ordine che vedevano nei Rolling Stones l’epitome della gioventù bruciata da punire e sopprimere. I problemi di una collaborazione tanto lunga fra persone con un carattere dominante e aspirazioni differenti.
Alle vicende della band si allacciano quelle sul piano personale, la famiglia e i figli, cui Richards è profondamente legato. L’autobiografia è una lunga passerella di persone che hanno significato molto per il musicista, un uomo che crede profondamente nell’amicizia e che conserva come tesori coloro che sente vicini al suo mondo e alla sua sensibilità. Molti i lutti, dovuti principalmente al male serpeggiante dell’uso di droga. Si scopre un uomo acculturato, un vorace lettore che sa sorprendere con citazioni imprevedibili.
Stupende le dissertazioni sui trucchi alla chitarra, sui tentativi fatti per scoprire un certo suono, un riff sfuggente, anche se forse apprezzabili solo da chi conosce la musica e suona uno strumento. Bellissimi i momenti di collaborazione creativa con altri musicisti. La prosa conserva sempre un’autoironia che impedisce al testo di diventare stanco o ripetitivo, fornendo numerosi spunti per la risata e coinvolgendo il lettore senza alcuna captatio benevolentiae.
Imperdibile per coloro che amano i Rolling Stones e il panorama musicale degli anni ’60.