“L’amico di famiglia”, romanzo di
Irwin Shaw, racconta come una famiglia piccolo-borghese americana venga
stravolta nelle sue dinamiche e nei rapporti affettivi dall’arrivo di un
elemento esterno, un miliardario salvato da un’aggressione al parco e ospitato
per le prime cure. Questo aneddoto creerà un legame tra loro, fortemente voluto
dal miliardario, che diventerà mentore e protettore della famiglia di Allen,
insegnante di materie umanistiche. Tutte le sue munifiche iniziative per
migliorare la loro quotidianità o per aiutarli a realizzare i loro sogni, però,
si riveleranno un boomerang che metterà in luce aspetti torbidi del carattere
di ognuno e Allen, insieme alla moglie, si troverà invischiato nei segreti e
nell’oscura disperazione del loro benefattore.
Il romanzo è scritto con sapienza,
per ciò che concerne lo stile. Contiene una consistente dose di cinismo, ma
anche un giudizio nemmeno troppo velato sugli argomenti trattati. La cosa, nei
momenti in cui si fa più scoperta, fa storcere il naso per l’invadenza dell’autore.
I personaggi, nella parte iniziale, sono ben delineati e adatti a descrivere
una famiglia di estrazione sociale media, con i genitori insegnanti che fanno
sacrifici per i tre figli, ognuno con la propria personalità e sogni più o meno
precisi da realizzare. Il miliardario è una figura più ambigua, scelta
azzeccata per mantenere vivo l’interesse verso i capitoli successivi. Il
lettore continua per un pezzo a chiedersi se si trova davanti a un personaggio
positivo o negativo, se la sua generosità abbia un secondo fine.
All’avviarsi delle vicende vere e
proprie, però, qualcosa stona e questa mancanza armonica si fa sempre più
importante fino a diventare dissonanza. Non solo i personaggi prendono decisioni
che una qualunque persona di buon senso troverebbe discutibili e forzate, ma
col procedere della storia tutti i protagonisti mostrano un carattere e un modo
di fare quasi opposto a quanto narrato nel principio. L’intento è mostrare come
i soldi cambino le persone (in peggio) e quanta finzione si nasconda nei
rapporti interpersonali, perfino quelli familiari. L’autore intendeva
ricordarci che, in verità, non conosciamo mai nessuno per ciò che è finché non
è troppo tardi. L’operazione, però, avviene in modo tanto reciso e brutale da
far cadere la sospensione d’incredulità e farci chiedere se questa famiglia non
sia composta da persone con disturbi psicologici. Una ragazza insicura e votata
allo sport diventa un’oca mangiauomini. L’affarista si trasforma nella moglie
sottomessa di un italiano accecato da un ideale (sì, gli italiani sono
stereotipati al massimo, e non solo loro). Il ragazzo col pallino della musica
in pochi mesi si trasforma in uno squalo della produzione musicale. E così via,
così discorrendo…
Una lettura non sgradevole ma che
fa storcere il naso o alzare le sopracciglia fin troppe volte.