giovedì 28 giugno 2012

La grande storia delle Crociate

“La grande storia delle Crociate” di Jean Richard si prende l’onere di spiegare, in un poderoso volume, modi e tempi di quella che è stata miraggio e principio fondante di un’ampia parte del tardo Medioevo: la Crociata, ovvero la spedizione militare – o pellegrinaggio in armi – per liberare i luoghi sacri della religione cattolica.
Si tratta di un argomento affatto semplice. I libri scolastici scandiscono con precisione illusoria le spedizioni verso l’Oriente, offrendo date precise e nomi di condottieri a capo delle spedizioni. La realtà fu molto meno definita e le partenze si svolsero spesso in maniera confusionaria, a scaglioni, tanto che il numero delle Crociate effettive dovrebbe essere maggiore di quello canonico.
Il saggio si dilunga in una descrizione a tutto campo della situazione che ha fatto da sfondo al fenomeno della crociata, durato secoli e, per questo motivo, protrattosi attraverso una serie di sommovimenti politici e sociali da tenere in conto per comprendere le dinamiche delle numerose spedizioni in medio-oriente.
Non ci si è recati in Terrasanta per combattere sempre lo stesso nemico, né per perseguire gli stessi fini. Benché le bolle papali insistessero sulla liberazione di Gerusalemme e dei luoghi santi, infatti, spesso le urgenze furono ben altre e i musulmani incarnarono di volta in volta nemici o alleati, a seconda delle situazioni correnti. I paragrafi dedicati alle alleanze allacciate e sciolte sono disseminati lungo tutto il saggio, nel tentativo di far comprendere la mutabilità delle dinamiche.
Viene analizzato il sistema feudale in uso nell’Occidente cristiano di fine XI secolo, lo scisma che portò ad avere due guide della Chiesa (uno a Roma, l’altro ad Avignone), la rottura con la Chiesa orientale e le tensioni con l’impero bizantino, che contrapponeva la fastosa Costantinopoli all’egemonia della Roma papale. La capitale dell’Impero d’Oriente possedeva inoltre un tesoro composto da reliquie e chiese che faceva gola a molti, senza contare che la politica sempre ambigua dei suoi imperatori metteva spesso in difficoltà i crociati.
Le missioni verso Gerusalemme comportarono anche la comparsa di situazioni non precedentemente messe in conto: la nascita di regni, ducati e contee attraverso la spartizione dei territori riconquistati (ai musulmani, ma a ben vedere anche all’impero bizantino, che ne rivendicava l’originario possesso).
Nascono vere e proprie dinastie regali, almeno all’apparenza sottomesse alla grandezza dei reami europei d’origine e, come sempre, al volere del Papa. In realtà, questo sviluppo della situazione conduce a guerre intestine, lotte di potere, intrighi dinastici che aiuteranno con il tempo a disgregare ciò che la prima crociata era riuscita a costruire.
Non manca una disamina accurata della condizione dei potentati musulmani, delle dinamiche di forza interne ed esterne al grande dominio degli “infedeli” e come questi si relazionassero al possesso della Terrasanta e di Gerusalemme in particolare.
Le contraddizioni della Crociata si evidenziano fin da subito, diventando spesso un combattimento interno contro ebrei, eretici e chiunque attenti – o si crede voglia attentare – alla grandezza e all’unità della Chiesa Cattolica.
Il difetto di questo saggio tanto completo risiede in una prosa che non tiene in gran conto le ovvie difficoltà che un lettore può trovare accostandosi per la prima volta in maniera seria alla trattazione dell’argomento. La Storia non aiuta: molti personaggi fondamentali portano lo stesso nome, pur provenendo da luoghi diversi e ponendosi più o meno in luce durante i fatti delle Crociate. Si finisce per fare una gran confusione, ritrovandosi spesso a chiedersi di quale dei tanti omonimi si stia parlando in quel particolare momento.
Le carte geografiche inserite mostrano chiaramente gli itinerari dei crociati, ma non i possedimenti né i confini dei nuovi stati latini d’Oriente, cosa che lascia nella mente solo immagini confuse, non supportate da una reale comprensione territoriale e strategica.
Se non avete mai letto altro sulle crociate, non cominciate da questo saggio. Consigliato come approfondimento per chi si interessa da tempo alla materia e ha avuto modo di conoscere con una certa profondità i fatti gerosolimitani.

sabato 23 giugno 2012

Intervista col vampiro

“Intervista col vampiro” di Anne Rice è un racconto nel racconto.
In una notte qualunque, in cerca di un’intervista interessante, un giovane uomo vive un’esperienza al di là delle sue aspettative: l’uomo dai capelli neri e il volto bianco come porcellana che ha acconsentito a raccontargli la storia della sua vita è un vampiro. Un vero vampiro, che vuole tirare le fila della propria esistenza.
Louis, nato in Francia e vissuto in Louisiana come proprietario terriero, è diventato un mostro notturno ai tempi della Rivoluzione Francese, vittima prescelta per diventare lo schiavo immortale di un misterioso vampiro, il francese Lestat.
Segnato da lutti familiari, ossessionato da domande profonde sulla natura del Bene e del Male, Louis si risveglia come non morto senza aver perso l’anima insicura e tormentata che aveva da vivo. Nulla lo aiuta nella comprensione della sua nuova vita di assassino; sicuramente non Lestat, che sembra un vanesio mostro senz’anima, uso solo a divertirsi a spese delle sue vittime e, più in generale, del mondo.
Gli scrupoli di Louis lo tengono dapprima lontano dalle vittime umane, poi cede al richiamo di una bimba rimasta orfana, che Lestat trasforma in vampira per un gioco perverso. La triade mostruosa vive decenni di fittizia mondanità a New Orleans, la piccola Claudia diventa donna nel corpo di una bambina, e il suo odio montante per Lestat porterà a fatti tragici che costringeranno lei e Louis a partire per l’Europa, alla disperata ricerca di risposte sulla loro natura, sullo scopo della loro esistenza.
Tra colpi di scena e orrori, Louis concluderà il racconto con la dichiarata perdita dei propri sentimenti umani. Ma è davvero così? Il giovane giornalista non può accontentarsi di un finale simile. Le risposte, forse, le possiede solo chi ha dato il via a tutto quanto: il vampiro Lestat.
In questo romanzo degli anni ’70, la Rice dà il via a una rivoluzione della figura del vampiro. Un vampiro nuovo, moderno, fatto per vivere attraverso il flusso dei secoli e la razionale perdita di capacità di credere nello straordinario dell’uomo evolutosi dall’Illuminismo.
Il vampiro di Anne Rice è una creatura che si è calata nel Tempo oltre le fantasie dei romanzi gotici a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo. E’ un abitante delle città, cammina in mezzo a noi, si veste come noi. Solo, possiede poteri e coscienza che si affinano nei secoli, poggiando su basi così nichiliste da consentirgli di vivere senza impazzire nel tremendo flusso del progresso.
I vampiri che affollano incontrollabilmente gli scaffali delle librerie odierne e le pellicole cinematografiche sono cugini di primo grado di questa figura di mostro moderno descritta dalla Rice, ma hanno finito per incarnarne il lato più frivolo, banale, stucchevole, togliendogli ogni grandezza di mostro, di creatura delle tenebre la cui vita è il sangue e quindi, essenzialmente, la morte altrui. Proprio vero che l’uomo contemporaneo non sa più credere negli orrori, né riuscire a immaginarseli nella loro interezza…
Nemmeno l’autrice, purtroppo, è rimasta estranea a questo processo di trasformazione in dandy notturno dei suoi vampiri. Pur conservando una prosa ricca e immaginifica, i romanzi seguenti a “Intervista col vampiro” si fanno via via meno profondi. Il significato si va perdendo, la forma prende piede sulla sostanza.
Louis ha incarnato le domande sulla fede, sul Bene e il Male, personificazione dell’anima in fin dei conti timorosa di risposte, racchiusa in se stessa, venata di meschina ignavia, che è tratto caratteristico della società contemporanea. I romanzi che seguono ruotano attorno alla figura di Lestat e iniziano con la stessa potente verve – offrendoci un protagonista spettacolare che splende come un faro acceso – ma poi vanno perdendo di smalto, in una insistenza verso la decadenza fine a se stessa, una grandeur che si va facendo artificiosa; la messa in gioco di tanti vampiri nella saga toglie loro unicità, li rende meno attraenti, speciali.
La Rice ha continuato a scrivere le biografie dei vampiri corollari alla vicenda principale, ma niente ha più eguagliato la potenza inventiva del primo romanzo, il tormento di Louis, l’incomprensibile sfida al mondo di Lestat, l’orrore ineguagliabile di Claudia, bambina vampiro.
Un incubo contemporaneo, drammatico e profondo. Una lettura da non perdere.

martedì 19 giugno 2012

Regie teatrali - Dalle origini a Brecht

Studiando Storia del Teatro occorre prestare particolare attenzione a una materia ostica ma essenziale per comprendere l’evoluzione del teatro negli ultimi due secoli. Si parla della nascita e dell’evoluzione della moderna concezione di regia, che ha dato forma al teatro contemporaneo.
Il saggio “Regie teatrali – Dalle origini a Brecht”, edito da Editori Laterza e scritto da Mara Fazio, docente all’Università la Sapienza di Roma, ha lo scopo di raccontare in maniera approfondita questa evoluzione, portando a esempio le personalità più influenti in questa evoluzione epocale e i loro lavori più significativi.
Come fa notare la stessa autrice, parlare di storia del teatro significa utilizzare al massimo le proprie doti speculative e di intuizione, in quanto lo spettacolo è un’arte effimera, del momento, di cui non rimane alcuna traccia una volta che esso è stato messo in scena (almeno prima delle moderne apparecchiature di registrazione audio-video, che possono aiutare ma non rendere appieno il risultato di una messa in scena). Si deve cercare di intuire qualcosa dalle annotazioni sui copioni, dagli appunti del capocomico o dell’autore (poi del regista), dai bozzetti degli sceneggiatori o dei costumisti.
La trasformazione del responsabile della compagnia in regista porta anche a un aumento esponenziale del materiale preparatorio allo spettacolo, concedendoci di comprendere con maggiore precisione quali fossero le intenzioni registiche e quali i risultati in scena.
Dopo un breve capitolo introduttivo, il viaggio inizia con il conte Meiningen, aristocratico tedesco che dedicò tutta la sua vita al miglioramento della messa in scena. Suo obiettivo era abolire le figure dei primattori in cerca di visibilità per dare spazio ad un lavoro corale, di masse ben concertate ed equilibrate. La scenografia e la messa in scena diventano il più realistiche possibile, dettagliate fino all’eccesso. Nasce l’idea del teatro come lavoro di gruppo, unitario.
Ci si sposta quindi in Francia con Antoine, rifiutato dall’Accademia e in netto contrasto con il modo artificioso e vuoto di fare teatro nel suo Paese. Antoine si dedica alla creazione di una compagnia di attori non professionisti – e quindi più semplici da guidare perché non ancora presi dalla propria gloria – e trova un luogo in cui provare e mettere in scena spettacoli tratti finalmente da opere contemporanee e straniere. Antoine crea il “teatro d’autore”, porta a nuovi livelli l’analisi del movimento in scena e del realismo scenografico.
Stanislavskij, invece, entra nella Storia con l’invenzione di un metodo, lavoro di una vita intera, che si rivolge in particolar modo all’attore, alla sua capacità di comprendere il personaggio da dentro e metterlo in scena con una concentrazione perfetta data da compiti ben precisi, sensazioni mai effimere, una interiorizzazione psicologica solida. Oggi il suo metodo – spesso mistificato- è alla base di molte scuole di recitazione e ha fatto da base al metodo Strasberg.
Un suo allievo, Mejerchol’d, più avanti cambierà del tutto strada e farà un teatro d’avanguardia, fatto soprattutto di ritmo e movimento, tanto da fondare una disciplina che oggi chiamiamo biomeccanica.
Teorico di un nuovo modo di fare teatro fu Appia, e molte delle sue idee furono mutuate più avanti da Craig, figlio d’arte. Entrambi ricercavano l’arte, non la sola rappresentazione. Il regista doveva diventare un artista completo che potesse comprendere e gestire ogni parte dell’opera, dalla scenografia alla luce, dal costume alla recitazione. Ciò che per Appia fu soprattutto idea (a causa delle carenze tecniche della sua epoca e della sua passione non derivata da un’esperienza scenica), in Craig diventa realtà. Nato e cresciuto in teatro, Craig sa cosa vuole e come metterlo in scena, sacrificando per questo anche gli stessi attori. A entrambi si deve la nascita della luminotecnica e l’abbandono delle scenografie opulente a favore del simbolismo. Poco amanti degli attori, entrambi li spersonalizzano e li utilizzano come meri strumenti, tanto che Craig teorizza l’idea di un attore “super-marionetta”.
Il saggio tratta poi di Reinhardt e del suo teatro fatto di sogni, di gioco, esaltato da un’indimenticabile messa in scena di “Sogno di una notte di mezza estate”. Piscator crea invece la commistione ancora ben viva tra cinema e teatro. Brecht, infine, teorizza e mette in scena un teatro in cui gli attori sono estranei al personaggio, lo propongono al pubblico senza restarne coinvolti.
Tra queste pagine riposa la nascita della moderna messa in scena, raccontata con chiarezza, semplicità. Una lettura di grande interesse, splendido aiuto allo studio della Storia del Teatro contemporanea.

mercoledì 13 giugno 2012

Cuore di tenebra

Joseph Conrad è uno scrittore polacco naturalizzato inglese che per gran parte della sua vita fece carriera marinara, vedendo il mondo di persona e imparando a conoscere gli oceani, le navi e la gente che vi trascorreva la vita. Questo spiega i temi dei suoi romanzi, tra cui “Cuore di tenebra”.
La sua vocazione di scrittore fa scaturire attraverso la penna questo enorme e complesso bagaglio di immagini, sensazioni, esotici orrori che egli stesso ha avuto modo di sperimentare, come se fossero diventati troppi per tenerli nell’anima.
Il romanzo è strutturato come un racconto nel racconto. Difatti la scena si apre su un’imbarcazione immobile, con l’equipaggio in attesa della giusta marea. Per occupare il tempo, uno dei presenti – Marlow – inizia a raccontare un’avventura che l’ha segnato per sempre, una sorta di mistero che lo insegue e non gli lascia tregua.
Su questo romanzo agiscono tre forze naturali, tre ataviche fonti di potere che l’uomo tenta di dominare senza riuscirsi.
La prima è il mare, distesa che conduce in ogni angolo del mondo e che l’uomo solca sulle sue perfette imbarcazioni, ma che ingoia l’incauto e lo sfortunato tanto spesso quanto dà sostentamento e avventura. Il protagonista è un uomo di mare, come lo è stato a suo tempo l’autore, e conosce bene i pro e i contro del mestiere che si è scelto, i misteri che si celano sotto le acque e sopra di essi. Proprio il senso del mistero e della novità spinge alla vita di mare, che poi diventa invece una casa che separa e protegge dalla vita “terrestre”, dai ritmi impossibili.
E’ per inseguire l’avventura e la propria vocazione all’acqua che Marlow fa di tutto per ottenere un posto in Africa, grazie all’interessamento di una zia. L’esperienza nelle colonie, però, sarà ben lontana dalle sue aspettative e lo metterà a confronto con altre due forze a lui sconosciute e terribili quanto l’oceano.
La prima di esse è la foresta africana, muta e solo in apparenza passiva coperta che ingoia, ingloba, porta via dall’uomo ogni barlume di civiltà, di fattività. Posti in quell’atmosfera opprimente, apparentemente priva di senso e di ogni ordine, i colleghi europei di Marlow sono diventati degli esserI indolenti, lamentosi, privi di scopo. La missione di collezionare avorio diventa una sorta di utopia di cui si parla senza metterla in atto, un sogno di gloria che cozza con la malattia e la morte imperanti, con le condizioni di vita devastate dei nativi ridotti in schiavitù.
Marlow lotta contro questa malattia dell’anima dandosi da fare per rimettere in sesto la sua nave, un battello che cade a pezzi, e organizzando la spedizione per recuperare l’unico uomo che sembra suscitare su tutti – amici e nemici – un fascino irresistibile. Kurtz, perso nella giungla, è il più produttivo della squadra e anche il più misterioso, l’unico che sembra ammantato del ruolo di capo.
Sarà l’idea fissa di fare la sua conoscenza a dare a Marlow un appiglio cui ancorare la propria mente per salvarla dal caos imperante, senza rendersi conto che questo stesso proposito sta diventando un’ossessione che lo condurrà verso il detentore della terza forza naturale in serbo per lui, quella più immensa e più agghiacciante: l’oscurità dilagante nel cuore dell’Uomo.
Kurtz è dotato del dono della parola, sa plasmare il mondo e le anime con il solo uso della voce. Minato da un corpo devastato dalla vita nella giungla, pure riesce a dominare le popolazioni native, che lo credono un Dio. Attorno al suo rifugio e negli occhi dei suoi seguaci sono evidenti gli orrori in cui quest’uomo è affondato, alla ricerca degli abissi della propria anima, per affermare il proprio alto scopo e la superiorità dell’uomo bianco su quella giungla di tenebra.
Kurtz, invece, diventa ospite di quella stessa tenebra, che lo divora e ne è parassita simbiotico, riempiendo Marlow di un orrore fascinato che anche nel racconto riuscirà a fatica a mettere in parole.
“Cuore di tenebra” ha l’andamento di un incubo, una sequenza di immagini vivide eppure sfuggenti, mescolate, slegate. Succede ben poco nelle sue pagine, eppure il tempo si dilata all’infinito, pare eterno, incolmabile. Incolmabile, come la tenebra che sta in agguato nel cuore di ogni essere umano.

mercoledì 6 giugno 2012

Clio Make-Up

Clio Zammatteo, fenomeno mediatico del mondo del make-up, è una giovane italiana che ha studiato in America e tramite il suo canale YouTube si è creata una fama sempre in crescita, postando video tutorial per insegnare alle donne i segreti del trucco e della cura della pelle. Il suo successo l’ha portata di recente anche a condurre dei programmi televisivi e la casa editrice Rizzoli   ha pubblicato due manuali scritti di suo pugno: “Clio make-up” e “Clio Beauty Care”.
Il costo è piuttosto alto per un libro rivolto prevalentemente ad un pubblico giovane, ma c’è da valutare il fatto che il layout dei manuali è molto particolare: i libri non sono di formato stardard, la carta è lucida e pesante, la grafica interna è molto curata e accattivante, con tante foto a colori e illustrazioni esplicative. Il prodotto editoriale è stato studiato in ogni dettaglio per avere anche una valenza estetica e invogliare ulteriormente nell’acquisto.
“Clio-make-up” è stato il primo a vedere la luce.
Nella prima parte l’autrice insegna a riconoscere i vari tipi di pelle, fattore essenziale per comprendere come prendersene cura e come scegliere i cosmetici (soprattutto la base) in maniera da assecondare le proprie caratteristiche.
Vengono poi presentati tutti i “ferri del mestiere” del make-up attraverso un elenco corredato da immagini, con una spiegazione esauriente di ogni oggetto (dagli accessori al cosmetico vero e proprio) e dell’utilizzo migliore che se ne può fare.
Infine, l’autrice propone qualche semplice esempio di trucco, utile come primo allenamento e prova pratica per chi non ha ancora imparato a truccarsi o vuole evolvere il proprio modo di farlo, raggiungendo risultati più professionali.
“Clio beauty care”, il secondo volume, ha un’altra impostazione e inizialmente si concentra, con l’aiuto di una dermatologa, sulla cura della pelle e sulla protezione dai danni derivati dal sole e dagli agenti atmosferici. La logica conseguenza è un lungo capitolo di ricette fai-da-te perfette per seguire i consigli del capitolo precedente. In questo caso, l’autrice si è avvalsa dei consigli di una erborista capace. Va a credito di Clio Zammatteo questa ricerca di pareri esperti nel trattare una materia tanto delicata.
Dopo di ciò, si torna all’argomento principe delle lezioni dell’autrice: i ferri del mestiere ampiamente trattati nel primo volume vengono qui presentati in una veste alternativa, dimostrando come possano essere utilizzati in maniera più creativa, inaspettata.

Infine vengono offerti nuovi tutorial, questa volta con l’utilizzo di modelle che rispecchiano tre diverse bellezze: la caucasica, l’asiatica e l’africana.
Mentre il primo volume risulta molto utile per i principianti, anche per chi deve imparare a truccarsi in previsione di performance musicali o teatrali e ha bisogno di conoscere materiali e segreti di una corretta applicazione, il secondo non vale completamente il prezzo di copertina, a meno di non essere appassionati dei cosmetici self-made.
Anche i tutorial proposti sono al di sotto delle capacità inventive di Clio, che nel suo canale ha presentato cose decisamente più stimolanti (consiglio una visita su YouTube nel canale ClioMakeUp per rendersi conto del percorso dell’autrice).
Si tratta comunque di manuali simpatici, gradevoli, utili per tutte coloro che quando prendono in mano un rossetto o una matita per occhi sanno che stanno per fare danni…