martedì 19 giugno 2012

Regie teatrali - Dalle origini a Brecht

Studiando Storia del Teatro occorre prestare particolare attenzione a una materia ostica ma essenziale per comprendere l’evoluzione del teatro negli ultimi due secoli. Si parla della nascita e dell’evoluzione della moderna concezione di regia, che ha dato forma al teatro contemporaneo.
Il saggio “Regie teatrali – Dalle origini a Brecht”, edito da Editori Laterza e scritto da Mara Fazio, docente all’Università la Sapienza di Roma, ha lo scopo di raccontare in maniera approfondita questa evoluzione, portando a esempio le personalità più influenti in questa evoluzione epocale e i loro lavori più significativi.
Come fa notare la stessa autrice, parlare di storia del teatro significa utilizzare al massimo le proprie doti speculative e di intuizione, in quanto lo spettacolo è un’arte effimera, del momento, di cui non rimane alcuna traccia una volta che esso è stato messo in scena (almeno prima delle moderne apparecchiature di registrazione audio-video, che possono aiutare ma non rendere appieno il risultato di una messa in scena). Si deve cercare di intuire qualcosa dalle annotazioni sui copioni, dagli appunti del capocomico o dell’autore (poi del regista), dai bozzetti degli sceneggiatori o dei costumisti.
La trasformazione del responsabile della compagnia in regista porta anche a un aumento esponenziale del materiale preparatorio allo spettacolo, concedendoci di comprendere con maggiore precisione quali fossero le intenzioni registiche e quali i risultati in scena.
Dopo un breve capitolo introduttivo, il viaggio inizia con il conte Meiningen, aristocratico tedesco che dedicò tutta la sua vita al miglioramento della messa in scena. Suo obiettivo era abolire le figure dei primattori in cerca di visibilità per dare spazio ad un lavoro corale, di masse ben concertate ed equilibrate. La scenografia e la messa in scena diventano il più realistiche possibile, dettagliate fino all’eccesso. Nasce l’idea del teatro come lavoro di gruppo, unitario.
Ci si sposta quindi in Francia con Antoine, rifiutato dall’Accademia e in netto contrasto con il modo artificioso e vuoto di fare teatro nel suo Paese. Antoine si dedica alla creazione di una compagnia di attori non professionisti – e quindi più semplici da guidare perché non ancora presi dalla propria gloria – e trova un luogo in cui provare e mettere in scena spettacoli tratti finalmente da opere contemporanee e straniere. Antoine crea il “teatro d’autore”, porta a nuovi livelli l’analisi del movimento in scena e del realismo scenografico.
Stanislavskij, invece, entra nella Storia con l’invenzione di un metodo, lavoro di una vita intera, che si rivolge in particolar modo all’attore, alla sua capacità di comprendere il personaggio da dentro e metterlo in scena con una concentrazione perfetta data da compiti ben precisi, sensazioni mai effimere, una interiorizzazione psicologica solida. Oggi il suo metodo – spesso mistificato- è alla base di molte scuole di recitazione e ha fatto da base al metodo Strasberg.
Un suo allievo, Mejerchol’d, più avanti cambierà del tutto strada e farà un teatro d’avanguardia, fatto soprattutto di ritmo e movimento, tanto da fondare una disciplina che oggi chiamiamo biomeccanica.
Teorico di un nuovo modo di fare teatro fu Appia, e molte delle sue idee furono mutuate più avanti da Craig, figlio d’arte. Entrambi ricercavano l’arte, non la sola rappresentazione. Il regista doveva diventare un artista completo che potesse comprendere e gestire ogni parte dell’opera, dalla scenografia alla luce, dal costume alla recitazione. Ciò che per Appia fu soprattutto idea (a causa delle carenze tecniche della sua epoca e della sua passione non derivata da un’esperienza scenica), in Craig diventa realtà. Nato e cresciuto in teatro, Craig sa cosa vuole e come metterlo in scena, sacrificando per questo anche gli stessi attori. A entrambi si deve la nascita della luminotecnica e l’abbandono delle scenografie opulente a favore del simbolismo. Poco amanti degli attori, entrambi li spersonalizzano e li utilizzano come meri strumenti, tanto che Craig teorizza l’idea di un attore “super-marionetta”.
Il saggio tratta poi di Reinhardt e del suo teatro fatto di sogni, di gioco, esaltato da un’indimenticabile messa in scena di “Sogno di una notte di mezza estate”. Piscator crea invece la commistione ancora ben viva tra cinema e teatro. Brecht, infine, teorizza e mette in scena un teatro in cui gli attori sono estranei al personaggio, lo propongono al pubblico senza restarne coinvolti.
Tra queste pagine riposa la nascita della moderna messa in scena, raccontata con chiarezza, semplicità. Una lettura di grande interesse, splendido aiuto allo studio della Storia del Teatro contemporanea.

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