“Ring”, prima di diventare un fenomeno cinematografico di primaria
rilevanza sia in patria sia negli Stati Uniti (con un remake che fa
acqua da tutte le parti), è un inquietante e innovativo romanzo
dell’orrore scritto da Koji Suzuki, pubblicato in Italia da Nord
nel 2003.
Tutto
comincia con la morte misteriosa di alcuni ragazzi. Il giornalista
Asakawa, zio di una delle vittime, si imbatte per caso negli strani
dettagli che uniscono i quattro decessi in maniera sospetta: tutti i
ragazzi sono morti alla stessa ora per quello che il medico legale ha
giudicato come arresto cardiaco improvviso. Inoltre, i giovani si
conoscevano e frequentavano al di fuori della scuola.
L’istinto
di giornalista di Asakawa lo spinge a indagare su questa vicenda e
lo porta a recarsi nel luogo dell’ultima gita del gruppo di amici,
una struttura di vacanza e svago in una località di montagna. Là,
cercando indizi, trova un’inquietante videocassetta.
Il
video, formato da immagini apparentemente innocue eppure capaci di
scombussolarlo, termina con una maledizione: chi ha visto la cassetta
morirà entro sette giorni, a meno che…Fine. Il resto del messaggio
è stato cancellato. Asakawa non può prendere sottogamba la minaccia
insita in quelle poche parole, classificandole come un macabro
scherzo. Dopotutto, gli ultimi ad aver visto il video sono morti
davvero!
In
preda al panico per la mancanza di indizi su cosa fare per salvarsi,
Asakawa coinvolge nella sua indagine l’amico Ryuji, scienziato e
filosofo, un uomo dalle abitudini torbide e la mente acuta che guarda
il video di sua volontà e trascina l’amico terrorizzato nella
ricerca di colei che ha creato quel filmato con la sola forza dei
propri poteri psichici: la bellissima Sadako, morta molti anni prima
in circostanze misteriose.
Forse,
ritrovare il corpo di Sadako e darle sepoltura annullerà la
maledizione. Oppure no?
Narrata
con una prosa fresca, senza fronzoli, fatta di frasi dirette e
concise, la storia si dipana in una corsa contro il tempo, seguendo
il crescendo d’ansia del protagonista e svelando senza false
ipocrisie gli anfratti più bui e vergognosi della psiche umana.
C’è
poco da simpatizzare sia con Asakawa che con Ryuji, il primo
pusillanime e pronto a cedere al panico in ogni momento, il secondo
sgradevole e cinico anche di fronte alla morte. Eppure, questi due
amici sono pur sempre il baluardo di un’umanità che è minacciata
dal Male incombente e in quanto tali sanno offrire scorci inaspettati
di una profondità di sentimenti che li redime e li fa eroi di una
battaglia impari.
L’innovazione
nel romanzo di Suzuki risiede nella commistione tra i cliché
dell’horror propriamente detto – fatto di maledizioni, morti
orribili e macabri ritrovamenti – con il più sottile sintomo di
inquietudine dato dai misteri della scienza e dalla malattia,
flagello che le spiegazioni mediche non hanno potuto eliminare dal
novero delle cose più terrificanti che possano capitare a un essere
umano.
Come
fanno notare gli stessi protagonisti del romanzo durante una
discussione, i virus sono esseri naturali, eppure completamente
alieni. Pare si siano sviluppati da geni cellulari pervertiti, eppure
sono i peggiori nemici di un organismo vivente. Intelligenze aliene,
assassini con una capacità di sviluppo, riproduzione e adattamento
incredibile. Questi aspetti, replicati dallo spirito rancoroso di una
ragazza morta che vuole vendicarsi sul genere umano, danno vita a un
orrore senza precedenti, da cui nessuno può ritenersi al sicuro.
Questo
aspetto della storia viene completamente cancellato nella versione
americana, snaturando la trama e facendola diventare una semplice
sequela di scene “ad effetto”, l’orrore fine a se stesso senza
capo né coda. La storia continua con altri due romanzi, “Spiral”
e “Loop”. Buona lettura!
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