domenica 13 luglio 2014

Dolce per sè

Con una citazione leopardiana, si apre questo romanzo di Dacia Maraini, un epistolare che vede la matura scrittrice Vera confidarsi e cercare una compagna con cui dipanare i nodi della propria vita presente e passata in una bambina: Flavia, la briosa nipotina del suo giovane amore, il violinista Edoardo.
Attraverso lunghe lettere, il cui stile non tiene affatto conto della grande differenza d’età ma anzi possiede una cifra espressiva che desidera mettere Flavia alla pari con la sua adulta interlocutrice, Vera mette in prosa i propri sentimenti per lo zio della bambina, la passione per il proprio lavoro, le avventure passate, i dolori, le malinconie. Come uno specchio in cui la donna matura rivede una sé bambina non ancora del tutto perduta, Flavia diventa la confidente di una sconosciuta che presto uscirà dalla sua vita. Nemmeno riceverà gran parte di queste lettere, nate in fondo come una chiacchierata con se stessi e con l’icona di un tempo felice passato troppo presto.
C’è molto della vita di Dacia Maraini nel personaggio di Vera: la sua infanzia giapponese, il divorzio dei genitori, la scrittura come lavoro e passione inesauribile, l’amore per un uomo tanto più giovane di lei. Ciononostante, l’autrice crea una donna “altra”, che possa contenere in sé solo quanto basta della realtà, condita da dettagli e caratteristiche fittizie ma non per questo meno forti e credibili.
La musica pervade tutto il romanzo, non solo perché il compagno di Vera è un violinista ma per una vera, profonda passione della protagonista per il potere della musica, per la creatività e lo sforzo intellettuale e fisico che stanno dietro all’utilizzo dello strumento, alla conversione della musica scritta su spartito in qualcosa che coinvolge i sensi.
La variegata famiglia di Edoardo permette a Vera di mettere in luce differenti atteggiamenti riguardo a quest’arte sublime e tanto ardua. Il fratello di lui, padre della piccola Flavia, è un violoncellista metodico, razionale, che tratta la sua professione con estremo realismo e non lavora mai in situazioni al di sotto della sua fama e del suo talento. Questa sua freddezza si riversa anche sulla famiglia; dai pochi accenni di Vera si capisce come il suo matrimonio sia più una situazione di comodo che una relazione d’amore. Egli non riserva mai uno sguardo ai presenti in sala finché l’esecuzione non è finita. Nemmeno la piccola Flavia, che attende un cenno qualunque del padre per tutto il concerto, viene dispensata da questa delusione.
La madre della bambina è una “musicista fallita”, che ha deciso di mettere da parte i proprio talenti per dedicarsi al solo ruolo di moglie/madre, portando avanti la finzione matrimoniale.
Edoardo è molto diverso e anche il suo atteggiamento artistico fa parte del fascino che ha condotto Vera a cedere ad un corteggiatore tanto più giovane di lei. Musicista generoso, coinvolgente per il pubblico come per i suoi compagni d’orchestra, capace di farsi chilometri per ingaggi al di sotto delle aspettative, spinto dal puro piacere di suonare. Un uomo fatto di passione e piccole manie, che inizialmente suggellano l’amore ma che sul lungo percorso porteranno inevitabilmente a separare la sua strada da quella di Vera.
Toccanti le pagine in cui la donna confida alla piccola Flavia, ormai tredicenne, il calvario della malattia e della morte della sorella maggiore Akiko. Una più profonda malinconia, una decadenza nella qualità del tempo e nella fiducia verso il futuro permea le parole di Vera, che sempre più si avvicina al tramonto mentre una Flavia che ormai è costruita solo con immagini passate sta già per abbandonare l’infanzia per entrare nell’adolescenza, e farsi donna a sua volta.
Un ricambio generazionale che è speranza ma anche, per Vera, consapevolezza che i tempi d’oro stanno finendo; delusioni e sofferenza hanno coperto di una patina scura e amara i bei ricordi. Vera ama e odia le fotografie, frammenti di un tempo congelato per sempre, quasi a deridere chi le guarda e l’incapacità di richiamare a sé i momenti migliori.
Un romanzo femminile ma mai lezioso, a tratti anzi crudo e diretto come uno schiaffo, pagine in cui la vita reale si mescola al letterario in un commovente dialogo a distanza tra due generazioni solo in apparenza troppo lontane.