domenica 30 ottobre 2011

Il libro degli esercizi per attori

Il libro degli esercizi per attori. Il meglio del training internazionale in 600 esperienze praticheNel magico e piuttosto sottovalutato mondo del teatro filodrammatico (amatoriale, direbbero i detrattori), una delle cose più complicate è trovare il tempo, il modo e i mezzi per fermarsi un attimo a studiare. Le piccole compagnie senza fondi cercano di riempirsi l’agenda di serate per far entrare i denari necessari a comprare il materiale di scena, pagare l’affitto del locale in cui si fanno le prove, procurarsi i costumi…e via dicendo. Questo crea un’attività frenetica che lascia poco spazio all’apprendimento e al potenziamento delle proprie facoltà.
Proprio per questo motivo, un attore dovrebbe (uso il condizionale per mera cortesia, ma servirebbe l’imperativo) tentare di arginare manierismi e automatismi esercitandosi in proprio nei momenti di libertà, studiando la storia del teatro e della regia, leggendo copioni e guardando spettacoli altrui.
Purtroppo in Italia non c’è un gran fiorire di saggi dedicati al teatro e al lavoro dell’attore. Nonostante la nostra secolare tradizione, come sempre tendiamo a sottovalutare l’importanza della preparazione culturale di un “artista” (nel senso generico di “chi fa arte”).
Qui vi presento un compendio di esercizi che, se letto con attenzione e applicato alla propria esperienza attoriale, può essere utile per imporsi una disciplina di potenziamento e migliorare le proprie prestazioni, nonché un’ottima fonte di ispirazione per quei registi e insegnanti che intendono vivacizzare i momenti di formazione.
“Il libro degli esercizi per attori” (di Patrick Pezin, per Dino Audino Editore) propone, con parole semplici, un training di circa 600 esercizi che si rivolgono a diversi aspetti dell’attività attoriale. In quindici capitoli, vengono toccati i temi principali della formazione di un attore, ognuno dei quali viene sviscerato tramite numerose sfide. Alcuni di questi esercizi possono essere fatti da soli, o riadattati per esperienze che non prevedano supporto o collaborazione. Altri, invece, sono ideati apposta per coinvolgere l’intera compagnia (o classe) in maniera da creare interazione e intesa.
Il primo capitolo si occupa del training, o riscaldamento. Il riscaldamento è una fase molto importante, che rende più vivo e reattivo tutto il corpo e aiuta ad evitare tensioni che possano influire sulla performance oppure danni dovuti a movimenti fatti “a freddo”. Anche l’attore è soggetto a crampi e strappi muscolari! Si continua occupandosi della reattività del corpo dell’attore attraverso una serie di esercizi di biomeccanica, da quelli più semplici – gestibili anche da un attore amatoriale- a quelli più ginnici, da tenersi buoni per chi ha una solida preparazione fisica o fa già sport.
Il terzo, lunghissimo capitolo è completamente dedicato all’uso della voce. La voce è la migliore amica di un attore, va controllata, seguita, coccolata. Attraverso esercizi di respirazione, di emissione del suono e di controllo vocale, il capitolo cerca di offrire un riscaldamento completo per questo delicato strumento.
Si passa quindi al rapporto dell’attore con lo spazio, una cosa spesso sottovalutata, e al legame tra attori in scena. Una particolarità del teatro amatoriale è, spesso, la mancanza di interazione fra gli attori. I gesti, gli sguardi, le battute non sono diretti all’attore che ci sta di fronte con intenzione, come faremmo durante un vero confronto, ma in maniera generica, non mirata, cosa che rende finta la recitazione. Gli esercizi di questo capitolo cercano di aiutare a creare un legame più vero, credibile.
I tre capitoli successivi stimolano la capacità sensoriale e immaginifica dell’attore, attraverso il ricordo controllato di sensazioni fisiche reali da trasporre nella recitazione. E’ poi al vaglio il rapporto dell’attore con il tempo, il ritmo e il movimento. La reattività e la puntualità del gesto di un attore sono fondamentali; questi due capitoli danno modo di mettersi alla prova, da soli o in gruppo. Ci si riposa con un lungo capitolo sulle tecniche di rilassamento. Dopo due capitoli di rievocazione del ricordo e improvvisazione, si conclude con una lezione tipo di Radu Penciulescu.
Gli spunti che si possono ricavare dalla lettura di questo eserciziario sono innumerevoli. Assolutamente consigliato!

mercoledì 26 ottobre 2011

Cronache marziane

Se dico RAY BRADBURY, due titoli saltano subito alla mente: “Fahrenheit 451” e “Cronache marziane”. Questo scrittore statunitense, grande esploratore del fantastico, per molto tempo è stato a torto relegato nei ristretti confini dello scrittore di fantascienza. Niente di più errato. Non che Bradbury non abbia parlato di viaggi spaziali, alieni e pianeti da colonizzare…tutt’altro!
La differenza sta nel fatto che uno scrittore di fantascienza si divertirà a riempirci la testa di dettagli tecnici, nozioni scientifiche, curiosità antropologiche, biologiche e chimiche che diano credibilità a quanto narrato. Bradbury non è uno scrittore di questo tipo. C’è il razzo, ci sono gli astronauti, ci sono gli alieni: tanto basta. L’importante, per quest’uomo, è la storia in sé. E’ la fiaba che si nasconde dietro ogni cambiamento, ogni nuova scoperta.
Gran parte degli affezionati lettori di fantascienza (come di tutti gli altri “generi puri”) tende a essere molto fiscale nel catalogare cosa rientra nella categoria e cosa no. “Cronache marziane” è un capolavoro di fantasia e poesia, più che di fantascienza. La mancanza di sostrato scientifico nella prosa di Bradbury dimostra che creare futuri plausibili non era il suo scopo. Allo stesso tempo, la sua lucida analisi dell’atteggiamento colonialistico umano – soprattutto statunitense, in questo caso- non si discosta affatto dalla realtà, anzi la mette in luce con sconcertante preveggenza (ricordiamo che “Cronache marziane” ha visto la luce negli anni ’50).
Il romanzo, in verità una raccolta di racconti legati tra loro come perle di una collana, apre brevi e vivide finestre su sogni e incubi di sconcertante bellezza, cercando di stimolare nel lettore uno spunto alla riflessione, all’introspezione di sé e dei difetti congeniti dell’Uomo. Una storia di distruzione e disperazione, ma anche di fede.
“Cronache marziane” narra le vicissitudini del pianeta Marte dal 1999 al 2026, secondo il conteggio degli anni sulla Terra. Il quarto pianeta del Sistema Solare non è un globo rosso e morto, in attesa di nuovi colonizzatori, ma un mondo abitato, ricco di una sua civiltà peculiare.
Questa civiltà, più stratificata e antica di quanto facciano pensare i primi racconti, viene dapprima solo vagamente sfiorata dai primi pionieri dello Spazio mandati in avanscoperta (quasi tutti i visitatori terrestri vanno incontro, in un modo o nell’altro, a una brutta fine), ma a conti fatti non riesce a sfuggire alla totale devastazione che l’Uomo porta con sé. Nel caso specifico, è una normalissima malattia terrestre a falcidiare la popolazione marziana.
Comincia così la colonizzazione di un pianeta morto, su cui si aggirano ancora i fantasmi di un’epoca che fu. Marte accoglie l’Uomo senza pensarne né bene né male, mentre sulla Terra la gente alza con speranza gli occhi al cielo nel tentativo di allontanarsi da una società sempre più contaminata dalla violenza (rappresentata dall’incubo dell’atomica, in quei vertiginosi anni di tensione seguiti alla Seconda Guerra Mondiale, e dal razzismo imperante).
Nella lotta continua tra il Materialismo e il Sogno, si consuma l’epopea marziana, con un finale dolceamaro.
La scrittura di Bradbury non è per tutti i palati. La sua prosa è sognante, immaginifica, a tratti ridondante e barocca come un testo di Oscar Wilde. La definizione che meglio si adatta alla scrittura di Bradbury è “pittorica”. Divagando spesso dalla linea continua della trama, lo scrittore usa la parola per dipingere nell’immaginazione del lettore quadri surreali come un’opera di Dalì, estranianti come un Tanguy, delicati come un Lee. Chi è abituato alla prosa diretta e spesso scarna degli ultimi vent’anni, potrebbe trovare la lettura di “Cronache marziane” ridondante, complicata, ma è una semplice questione di abitudine. Chi ha già sviluppato un forte legame con le arti visive, invece, non potrà far altro che amarlo fin da subito. E’ il romanzo su cui ogni illustratore vorrebbe avere l’onore di poter lavorare.
Leggetelo con calma, assaporando ogni racconto come fossero assaggi della cucina di un grande chef. Non ve ne pentirete.

domenica 23 ottobre 2011

I fantasmi di Milano

Tendiamo tutti a sottovalutare il luogo in cui siamo nati, la città che ci ospita abitualmente. Spesso la conosciamo poco o niente, nonostante una vita passata dentro di essa come parte di una comunità frettolosa, senza storia. Quali sono i tesori della vostra città? Quali i monumenti, le chiese? Quali popoli hanno preso possesso del suo territorio, quali nomi famosi vi sono nati oppure vi hanno trovato ad attenderli la Nera Signora?
Mi stupirei se più del dieci per cento di chi legge questo articolo sapesse rispondere con competenza. Non è un appunto alla cultura del cittadino medio: è un semplice dato di fatto. La maggior parte di questi eventi non viene tramandata. Diventa una curiosità da topo di biblioteca, da chi frequenta per studio o per passione gli antichi archivi.
Se poco si sa degli eventi storici, delle bellezze artistiche o religiose che ogni città trattiene in sé, ancora meno si conosce di norma dei suoi miti, le sue leggende, i suoi fantasmi.
Giovanna Furio, in “I fantasmi di Milano” (Newton&Compton), ci accompagna in un viaggio alternativo attraverso una Milano misteriosa, ben nascosta anche ai suoi cittadini dietro la patina di efficienza e modernità che caratterizza da più di un secolo il capoluogo lombardo. Città fattiva per eccellenza, Milano non indulge in fantasie e spiritismo, ma pur nella sua razionale quotidianità conserva dentro di sé almeno un paio di millenni di vicende che non possono non aver lasciato traccia nel mondo dello spirito.
Qualcuno le leggende se le sussurra, le passa sottobanco al vicino, al figlio, al nipote; gli spiriti e gli eventi fuori dalla norma difficilmente vengono dimenticati del tutto.
L’autrice, con certosina pazienza, è andata a caccia di queste labili tracce e ce le presenta in questo volume, illustrato con stampe d’epoca della Milano che fu e delle sue trasformazioni. Il libro è un vero e proprio itinerario attraverso la città; potrebbe essere utilizzato come guida alternativa per il turista fai-da-te interessato più al mito che all’arte.
La raccolta spazia dalle storie di edifici infestati a quelli di vie ancora oggi percorse da spettri più o meno propensi a interagire con i passanti, dal tipico e folcloristico fantasma del Castello Sforzesco a quello più originale del monaco straccione che si mette a inveire contro i peccati altrui davanti al Cimitero Monumentale. Si scoprono nuovi volti di luoghi che magari si attraversano tutti i giorni per andare a scuola o al lavoro senza dar loro una seconda occhiata.
Purtroppo non si fa una vera distinzione tra i vari tipi di fenomeni paranormali, cosa che per un “cacciatore di fantasmi” invece riveste una certa importanza. Per essere chiari, i fenomeni di apparizione non sono sempre legati al vero e proprio permanere di uno spirito senziente in loco. Esistono edifici che, in determinate condizioni ambientali, sono in grado di “riproporre” visioni di scene che si sono svolte al loro interno anche secoli prima. In questo caso si tratta non tanto di una manifestazione fantasmagorica, quanto di una finestra aperta sul passato. Questo avviene molto spesso nelle costruzioni più antiche, di solito in pietra.
Esistono poi casi di spiriti che si aggirano senza aver compreso il loro stato di defunti ed altri che interagiscono con il tempo presente, purtroppo non ancora in grado di liberarsi dalle costrizioni terrene.
L’approccio dell’autrice all’argomento è più storico/artistico che misterico. Anche le tappe dell’itinerario offrono molte più cognizioni sullo stile degli edifici e su eventi storici correlati all’apparizione che dettagli sulle modalità o le testimonianze della stessa. Spesso, anzi, i riferimenti fantasmagorici passano in secondo piano, citati quasi distrattamente a fine capitolo.
Questo inficia in parte la valutazione positiva del saggio; il titolo stuzzica l’attenzione di un diverso tipo di ricercatori, i quali rimarranno un po’ delusi dalla vaga trattazione dell’argomento. Sicuramente interessante, invece, se si inizia la lettura con lo scopo di conoscere meglio le vicende meneghine e le bellezze artistiche e architettoniche della città.
Una buona sufficienza, ma non molto di più.

sabato 1 ottobre 2011

Fosca

FoscaEcco il secondo dei nostri “classici”.
Questa è una di quelle letture che durante il periodo del Liceo o vengono imposte dai professori o vengono evitate come la peste. Personalmente, non avevo sentito nominare la “Fosca” di Igino Ugo Tarchetti fino a un paio di anni fa, quando in preda all’ennui (il male del nostro secolo) mi sono messa a leggere l’antologia del Liceo. All’epoca, la mia ex professoressa di italiano si soffermò talmente a lungo sulla figura di Giordano Bruno – qualcosa come sei mesi- che a conti fatti si può dire che se esiste una materia in cui sono carente è proprio la Storia della Letteratura Italiana. Da quando ho terminato l’Accademia sto rimediando in proprio…ma non dilunghiamoci.
Ebbene, nel capitolo dedicato alla Scapigliatura ho trovato un piccolo stralcio di “Fosca” e sono stata colta da una gran voglia di leggere il romanzo. Grazie ad una conoscente, finalmente sono riuscita nell’impresa.
Giorgio è un giovane dalla salute incerta, dedito alla vita militare. Durante un attacco della sua malattia, conosce Clara, una bella donna dal carattere amabile che, pur se sposata, si innamora di lui ricambiata. La coppia vive una proibita – per quanto intensa e pura- storia d’amore, che restituisce la salute a Giorgio e la felicità a Clara.
L’avviso di trasferimento del giovane in un paesino spezza l’idillio dei due, che si separano con la promessa di rivedersi presto. Nel paese, però, Giorgio cade nel gorgo dei possessivi sentimenti di Fosca, una donna preda di isterie, fisse e ossessioni che la stanno uccidendo di consunzione. Per quanto Giorgio cerchi di separarsi dalla donna che pretende il suo amore, le circostanze lo riconducono sempre da lei, e sempre più vicino, tanto che Giorgio stesso si ammala. I due procedono veloci verso un destino infausto, che forse nemmeno l’amore di Giorgio per Clara potrà evitare…
“Fosca” è un romanzo breve ma molto evocativo, dal linguaggio chiaro e spigliato nonostante la lontananza temporale dell’autore (ci si abitua subito agli arcaismi utilizzati da Tarchetti). Le descrizioni di Milano e della Pianura Padana sono splendide, ancora attuali, vivide e intense nel lugubre e decadente volto che assumono nei mesi invernali. I personaggi sono ben delineati, tratteggiati con moderna sincerità.
Pur se Clara rappresenta la Luce e Fosca l’Oscurità, come viene palesemente indicato dagli stessi nomi che portano, assegnare ad ognuna la propria casella sarebbe ingiusto e riduttivo. Entrambe sono donne con una personalità sfaccettata, anche se Fosca batte per profondità di caratterizzazione la sua avversaria. Le patologie mentali di cui è preda, e che man mano agiscono su Giorgio, sono sfinenti e irritanti anche per il lettore, che al pari del protagonista non riesce ad immaginarsi come levarsela di torno se non con l’intervento della Morte…e allo stesso tempo è impossibilitato ad augurarglielo, toccato volente o nolente dalle sue sfortune e dai suoi dolori.
Tarchetti scava a fondo nei sentimenti, svelandone le vacue superfici e i ribollenti abissi. Nella frenetica danse macabre di Fosca e Giorgio, Amore e Morte si inseguono, a malapena sfiorati dalla luce, in un gorgo oscuro che tutto corrompe e rende orribile, perfino il cuore di un innamorato.
Splendida lettura. Consigliato a chi ama il decadentismo e la scapigliatura, ma anche a chi apprezza le storie d’amore non scontate.