venerdì 27 aprile 2012

Carrie

Il periodo adolescenziale è fatto di cime e abissi.
C’è chi, fortunato oppure baciato da bellezza e popolarità, lo ricorda come una sequenza di anni d’oro, ricchi di soddisfazioni, amici e allegria. C’è chi, invece, si vede relegare in un angolo buio perché non dotato di fascino oppure impedito nel socializzare da un carattere timido, introverso.
Per costoro, l’adolescenza può rivelarsi un vero e proprio inferno, una battaglia giornaliera contro i “fighi” della situazione che consolidano il loro status accanendosi sui loro opposti. Gli adolescenti possiedono la crudele spensieratezza dei bambini con l’aggiunta della capacità di ferire degli adulti. Un mix micidiale, capace di infliggere ferite che a volte non sanno più rimarginarsi e si trascinano come incubi per tutto il resto della vita.
Il primo romanzo di Stephen King, “Carrie”, narra proprio di questo volto oscuro dei teenagers, facendoci fare un viaggio da brivido nella vita di un’adolescente americana arrivata al limite di sopportazione.
Carrie White è una ragazzina cupa, chiusa in se stessa, con un aspetto poco attraente e bersagliata fin dall’infanzia dagli scherzi crudeli dei suoi coetanei. A complicare ulteriormente la situazione ci si mette la sua totale ignoranza dei fatti della vita, causata dall’intransigente fondamentalismo religioso della madre, una psicopatica secondo cui tutto è peccato e il mondo verrà presto purgato nel Giudizio Universale.
Tutto inizia quando Carrie ha le prime mestruazioni, tardive, mentre fa la doccia insieme alle sue compagne di classe del liceo dopo l’ora di educazione fisica. L’esperienza è umiliante di per sé ma diventa traumatica per Carrie, che non ha idea di cosa le stia accadendo e diventa bersaglio di un feroce attacco di parole e scherzi crudeli da parte delle compagne.
Questo, aggiunto alla violenta reazione di sua madre che intende punirla per questo nuovo stato di impurità, porta Carrie oltre la sua natura di ragazza inerme e sconfitta, risvegliando in lei un potere che giaceva addormentato nella sua mente fin dall’infanzia. Carrie, infatti, è telecinetica. E’ in grado, cioè, di spostare gli oggetti con la sola forza della mente.
Appoggiandosi a questa sua ritrovata forza, la giovane cerca di tenere a bada la madre (che ormai la crede progenie del Demonio) e di prepararsi all’evento per eccellenza, il ballo della scuola, a cui sarà accompagnata dal ragazzo che le fa battere il cuore, un onesto giovane che si è offerto spinto dalla propria fidanzata, pentita per aver preso parte alla scenata in sala docce.
Carrie riuscirà a ritagliarsi un posto nel mondo? Oppure sarò costretta a imporre la propria forza a coloro che continuano a cercare di schiacciarla, senza sapere di stare per innescare una bomba micidiale?
Con uno stile già sincero e realistico, plausibile, King tratteggia l’imprevisto nella vita di tutti i giorni utilizzando una forma particolare. Alterna, infatti, la narrazione della storia di Carrie ad articoli di giornali, libri e interviste provenienti dal futuro, a distanza di anni dalla vicenda che ha portato alla ribalta il potere mentale della giovane (vicenda che conosceremo, inevitabilmente, nelle ultime pagine del romanzo).
Questi salti nel futuro danno alla storia di Carrie un senso di ineluttabilità, di irrimediabile discesa all’inferno che non lascia alcuna speranza. Leggere il romanzo è come iniziare a correre lungo un pendio. All’inizio la pendenza sembra lieve, ma presto si perde il controllo della propria corsa e si caracolla verso il fondo sapendo che prima o poi si perderà l’equilibrio e lo schianto sarà inevitabile.
La crudeltà racchiude Carrie da ogni lato, fino a costringerla a diventarne parte. La madre è una folle che ha creato un mondo di terrore, in cui Cristo è un Giudice inflessibile e sanguinario e ogni contatto con i maschi è impurità da espiare. I viziati ragazzini del Liceo hanno segnato Carrie come diversa e i suoi tentativi di rientrare nel mondo saranno ostacolati con ogni mezzo.
Un viaggio sulla linea sottile che divide normalità e pazzia, nel mondo di ipocrisie e crudeltà che è così difficile abbandonare anche una volta entrati nell’età adulta.
Carrie è una dedica a tutti gli adolescenti bistrattati e un monito verso coloro che, senza temere punizioni, esercitano la loro forza sui più deboli.

domenica 22 aprile 2012

La lettera scarlatta

Nathaniel Hawthorne (il vero nome era Hathorne) era un figlio di Salem, discendente di quella dura e intransigente schiatta di puritani che emigrarono dalla natia Inghilterra per fondare nuove comunità sul continente americano. I suoi antenati furono uomini di fede integerrima e pugno di ferro, tanto da essere direttamente coinvolti nella grande caccia alle streghe della cittadina americana.
Lo scrittore, la cui carriera faticò a trovare la giusta via, portò sempre con sé il rimorso per le azioni dei propri antenati, tanto da dedicare alle sventurate vittime di tanta durezza un romanzo che divenne il suo biglietto d’ingresso nella Storia della Letteratura.
“La lettera scarlatta” racconta la storia di Hester Prynne, trovata colpevole di adulterio e per questo condannata a portare per sempre una “A” appuntata sul vestito, in maniera da mostrare la sua colpa a tutti. Hester, lungi dall’esserne distrutta, trova la forza di portare il marchio d’infamia con orgoglio, ricamando una magnifica lettera scarlatta. Si rifiuta di rivelare il nome di chi ha peccato con lei, il padre della sua creatura Pearl, e si appresta a vivere con le proprie forze.
Il suo amante è, per paradosso, l’uomo più pio della comunità, il reverendo Dimmesdale. Egli è divorato dal rimorso, ma non riesce a liberarsi della propria maschera e palesarsi per ciò che è in realtà, facendosi consumare dalla colpa fino a deteriorarsi la salute.
Il giorno della condanna, riappare dopo una lunghissima assenza il marito di Hester, un medico molto più anziano di lei, e prende dimora in paese sotto il falso nome di Roger Chillingworth, deciso a ottenere la sua vendetta sull’uomo che ha giaciuto con la giovane moglie.
Quali abissi raggiungerà il medico per ottenere la sua vendetta sull’anima debole dell’amante di Hester? C’è speranza di perdono quando la colpa è radicata nel cuore di chi ha commesso peccato? Forse l’unica via di scampo è la fuga…
In un mondo in bianco e nero, dove tutto è buono o cattivo e le persone sono rinchiuse in un fare cupo e senza perdono che sembra cancellare ogni colore, la lettera scarlatta di Hester racchiude ed emana il “proibito”, la vita, la passione, una gioia selvaggia che fa paura a chi non si lascia andare a qualsivoglia sentimento. E’ segno di una mente libera nonostante le restrizioni, di un pensiero che si erge sopra le convenzioni.
La piccola Pearl, stravagante e tirannica bambina, è l’incarnazione stessa di quella lettera e come tale viene sfoggiata dalla madre, che pure la teme come teme le pulsioni che l’hanno portata alla colpa. Pearl è l’imprevisto, un piccolo caos vagante, tanto che sia Hester che la comunità spesso si chiedono se dentro di lei non dimori un folletto, oppure il Maligno.
Hester cerca di sostituire negli occhi altrui il suo cuore generoso e la sua arte raffinata al segno dell’infamia, ma esso è ormai legato indissolubilmente alla sua persona, la completa, la rende speciale per chi denigra e per chi prova pietà. Lei è uscita dal grigiore della normalità puritana e non le sarà più concesso rientrarvi.
Paradossalmente, l’impurità è caduta sulla testa di chi possiede davvero buon cuore e un’anima capace di amare, un equilibrio fatto di orgoglio e sentimenti profondi che nemmeno le punizioni o l’umiliazione possono mettere a soqquadro.
La figura del marito di Hester, al contrario, incarna dietro la facciata di una mente brillante di scienziato, membro quindi di una élite che fa della razionalità il suo regno e la sua bandiera, la cruda brutalità, le passioni più sgradevoli, il Male mascherato da Uomo.
La sua piccola deformità fisica diventa segno della deformità dell’anima, come spesso accadeva nella letteratura dell’epoca. Il periodo di vita in mezzo agli indiani pare aver risvegliato e reso forti in lui gli istinti della vendetta, del disprezzo. E’ un uomo che porta la Tenebra con sé.
Il reverendo Dimmesdale è l’uomo pavido, sensibile ma timoroso del proprio sentire, troppo legato all’apparenza per poter competere con il coraggio di Hester, per quanto la ammiri e la aiuti nell’ombra. La sua colpa consuma all’interno e i segni non mancheranno di mostrarsi agli occhi più attenti.
Uno spaccato sugli orizzonti limitati delle intransigenti comunità a fondo religioso, una storia di catene dell’anima e passioni negate.

lunedì 16 aprile 2012

I manoscritti del Mar Morto

Sui manoscritti ritrovati all’interno delle grotte di Qumran, sul Mar Morto, sono girate per anni leggende e teorie di complotto su cui è fiorita una ricca letteratura, nonché documentari televisivi. Il tema è delicato, a dir poco: parliamo di testi risalenti al periodo che ha visto nascere e radicarsi il Cristianesimo.
La Chiesa, alle sue origini, ha operato una scelta sui testi da classificarsi ortodossi e su quelli, invece, da considerare apocrifi o pseudoepigrafi, e quindi meno attendibili. Gran parte di essi sono andati perduti o sono stati dimenticati. Il clima di scarsa flessibilità ha sempre spinto l’opinione pubblica a pensare che il Vaticano conservi una mole di segreti incredibile e che, nel caso dei manoscritti di Qumran, esso abbia messo lo zampino per evitare che venissero divulgate informazioni che potessero minare alla base l’unicità della fede cristiana.
Da quando i manoscritti sono stati ufficialmente tradotti e pubblicati, però, si è scoperto che le informazioni in essi contenute non sono così drammatiche da necessitare una secretazione. Non per questo le tesi della cospirazione si sono sgonfiate: non accade quasi mai, nemmeno quando risulta palese la loro infondatezza.
Con “I Manoscritti del Mar Morto”, edito con Newton Compton, Stephen Hodge ha lo scopo di offrire al lettore medio una spiegazione esauriente di cosa siano questi testi, dove e come sono stati trovati e quale reale importanza rivestono per il mondo culturale e teologico.
Il saggio si districa con piacevole fluidità e compiutezza attraverso tutte le facce dell’intricata vicenda del ritrovamento e dell’analisi dei manoscritti.
La storia del ritrovamento dei testi è di indubbio fascino e coinvolge interessi personali, politici e religiosi. Rivela, soprattutto, come la presunta segretezza del contenuto dei manoscritti di Qumran sia nata a causa dell’inadeguatezza del personale occupato nel lavoro di analisi e nell’affermato nepotismo dell’ambiente accademico. La gelosia sul proprio lavoro di ricerca ha impedito per anni a chiunque di accedere al materiale, così che le dicerie si sono sparse a macchia d’olio.
Si passa quindi a un veloce ripasso della situazione sociale e politica di Israele e della Giudea negli anni precedenti la nascita del movimento cristiano. Queste informazioni sono di enorme importanza per comprendere, più avanti, i contenuti dei manoscritti settari ritrovati a Qumran.
Oltre a trascrizioni più o meno modificate della Torah, ai Salmi e alcuni altri libri profetici già conosciuti, esiste infatti un ampio corpus di documenti afferenti a una non precisata Comunità, che ne detta le regole e parla attraverso giri di parole e pseudonimi di avvenimenti e persone ad essa collegati.
Gli studiosi si sono lambiccati il cervello per scoprire l’identità storica di questa comunità. Per molto tempo, la teoria più diffusa si è concentrata sugli esseni, una comunità ascetica di uomini celibi e pacifici di cui si parla nelle cronache dell’epoca. Oggi questa possibilità viene messa in discussione, facendo notare come molti dettagli nei testi e nei siti archeologici della zona di Qumran non si adattino alla presenza di una comunità con tali caratteristiche.
Scoprire le tensioni e i cambiamenti che stavano avvenendo all’interno della comunità ebraica, sotto i Seleucidi prima e sotto i Romani poi, aiuta a capire come si sia arrivati agli insegnamenti di Yeshua (Gesù) e come questi non fossero frutto di una rivoluzione improvvisa, ma di una evoluzione in atto del pensiero religioso.
L’autore prende in esame le possibilità di interpretazione, descrivendo nel dettaglio i pro e i contro di tutte le teorie, ivi comprese quelle più ardite e campate per aria, per far comprendere al lettore come lo studio di questi manoscritti sia ancora controverso e in pieno svolgimento.
La lettura di questo saggio è consigliata a tutti coloro che sono interessati ad uno dei misteri storico-archeologici più dibattuti degli ultimi anni, ma anche a chi intende comprendere più a fondo il contesto culturale e religioso che ha visto nascere e svilupparsi il Cristianesimo alle sue origini.

sabato 7 aprile 2012

Francesco d'Assisi

Sono stati scritti molti libri e girati parecchi film sulla figura di Francesco d’Assisi, una delle icone più carismatiche e potenti del cattolicesimo europeo.
Francesco rappresenta l’uomo che abbandona le cose materiali per dedicarsi allo spirito, colui che – senza alcuna preparazione teologica o precedente aspirazione di tipo clericale o monastico - è capace di seguire Cristo e dedicarglisi interamente. E’ il discepolo integerrimo, obbediente alla Chiesa, pio e forte pur nella debolezza di un fisico debilitato da innumerevoli malanni. E’ colui che dà tutto di sé per coloro che soffrono, che sono ultimi nella società.
Si pone spesso l’accento sul suo rapporto elitario con la natura e gli animali, su come egli riuscisse con la sua purezza a comunicare con le forme di vita “inferiori”. Il “Cantico delle Creature”, uno dei primi esempi di poesia in volgare della letteratura italiana, fu scritto proprio da Francesco (uso alle tecniche dei bardi e dei giullari nel comporre testi e musica) per esaltare, attraverso le meraviglie del Creato, la magnificenza di Dio.
Francesco d’Assisi è una figura di così grande impatto da correre il rischio di venire fraintesa o, cosa ancora peggiore, manipolata secondo il messaggio che si vuole trasmettere attraverso la sua esperienza di vita.
Un Francesco remissivo e pacifico, oppure severo e rigoroso. Un Francesco novello ecologo, un giullare, un matto, un prescelto, un nuovo Messia. Le biografie ufficiali non aiutano molto, in quanto vennero scritte da persone che avevano tutto l’interesse a porre l’accento su alcune cose e tacerne altre, proprio mentre si faceva duro lo scontro tra i rigoristi dell’Ordine Francescano e i riformatori che intendevano porre lo stesso Ordine un po’ più addentro il normale iter ecclesiastico e sociale.
Probabilmente, Francesco avrebbe avuto parecchio da ridire su ognuna di queste versioni, nonché sullo sfruttamento di quello che, in fondo, era stato un percorso spirituale personale e non la deliberata creazione di un gruppo organizzato. Non aveva mai desiderato fondare un nuovo Ordine religioso. Il fatto che lo seguissero non dipendeva da lui e difatti, appena possibile, prese le distanze dalla figura di comando che volevano imporgli e rimase capo spirituale, per poter continuare la propria esperienza senza cedere a compromessi.
Nel suo “Francesco d’Assisi”, Franco Cardini desidera rivedere la vita e l’esperienza del Santo cercando le verità inconfutabili all’interno delle fonti documentarie, comparandole e purgandole di ciò che sa troppo di leggenda o di allegorico, prendendo del resto in considerazione tutte le versioni esistenti delle vicende francescane.
L’autore ripercorre l’intera esistenza di Francesco, suddividendola in capitoli di lettura abbastanza scorrevole, senza l’uso eccessivo di termini complessi o costruzioni di frase arzigogolate.
Ogni periodo della vita di Francesco viene sviscerato non solo nel microcosmo della sua esperienza personale, ma anche nel macrocosmo della situazione politica, economica e sociale degli anni presi in esame. Non si possono capire le scelte del giovane Francesco senza comprendere la condizione dei cittadini dell’epoca, la simbologia legata alla figura reietta del lebbroso, il periodo tormentato per la Chiesa, con gruppi eretici – come i Catari- che si andavano spargendo per tutta Europa, contestando i Sacramenti e la ricchezza sfacciata della Chiesa Cattolica.
Sotto questo punto di vista, il saggio è molto completo, ricco di informazioni che diano al lettore un quadro generale.
Il rovescio della medaglia è che lo spazio riservato alle informazioni di sostegno e approfondimento risulta essere molto più ampio di quello dato alla vita di Francesco stesso, cosa che in alcuni momenti genera nel lettore un moto di frustrazione. Inoltre, il tentativo di non ammantare la sua figura di leggenda scarnifica in maniera consistente il materiale preso in considerazione, rendendo la narrazione dei fatti storici un po’ fredda.
Il saggio è comunque un’ottima lettura e aiuta ad avvicinarsi alla letteratura sul Santo assisano con mente aperta e occhio attento.

lunedì 2 aprile 2012

I Mabinogion

“I Mabinogion” di Evangeline Walton, riuniti in questa edizione della Tea, romanzano e approfondiscono l’antica tradizione celtica e i racconti tramandati oralmente e poi registrati in forma scritta più o meno nel XII secolo.
Queste storie raccontano un momento di passaggio fondamentale dall’antico, permeato di cultura spirituale celtica e fatto di Misteri, al nuovo, contaminato dalle civiltà e dalle credenze monoteistiche e patriarcali provenienti dall’Oriente. Il Galles, come l’Irlanda e tutto il resto d’Inghilterra, si trova in un momento di transizione in cui l’Invisibile ha ancora contatti con il mondo degli uomini, ma la legge del più forte inizia a prevalere.
La raccolta si articola in quattro romanzi. Il primo si intitola “Il Principe dell’Annwn”.
Il giovane e valoroso Pwyll è sovrano del Dyved, ma il suo animo è immaturo. Ci penserà Arawn, la Morte, a cambiarlo. Questa divinità del regno dell’Annwn, ove vivono le anime dei defunti che un giorno torneranno nel grande Ciclo delle reincarnazioni, è costretto a combattere un nemico per cui il potere ultraterreno non è sufficiente.
Pwyll viene prescelto per contribuire con la forza del mondo terreno. Si sostituirà al sovrano dell’Annwn, prendendone le sembianze, e ucciderà al suo posto il terribile Havgan. Pwyll accetta, ma sono molte le prove che lo attendono prima dello scontro. Esse lo forgeranno nello spirito, rendendolo un uomo migliore, e sanciranno il suo legame con il potente Dio. Al ritorno nella sua terra, i druidi lo mettono alle strette. Pwyll, la cui capacità di procreare e portare benefici al regno è stata messa in dubbio, si affida ai prodigi del Tumulo di Arberth. Là gli si promette Rhiannon, parte della dea omonima, che egli va a prendere per sé in un regno spirituale incantato.
Il secondo romanzo, “I figli di Llyr”, racconta del tragico matrimonio di Branwen, figlia di Llyr, con Matholuch d’Irlanda. La loro infelice unione porterà i fratelli di lei, guidati dal possente re Bran, a invadere l’Irlanda per correre in suo soccorso, scatenando una guerra senza pari i cui frutti si riveleranno devastanti per tutti. Saranno in pochi a tornare nella terra natia, portando con sé la testa di Bran, unica parte ancora viva del grande sovrano e reliquia magica che entrerà nella leggenda.
In “La canzone di Rhiannon” vediamo Manawyddan, saggio fratello di Bran, seguire il giovane Pryderi nel Dyved, dopo che entrambi sono sopravvissuti alla guerra in Irlanda. Il ragazzo passa per figlio del defunto Pwyll e della signora del mondo fatato, ma in realtà fu generato dallo stesso Manawyddan poiché Pwyll aveva perso la sua capacità di procreare durante la sua avventura nell’Annwn. Il sire sposa la vedova Rhiannon e Pryderi si ricongiunge alla sua giovane sposa, ma la maledizione che incombe sul Dyved dai tempi di Pwyll sta per abbattersi e provocherà loro grandi sciagure.
L’ultimo romanzo è “L’isola dei potenti”, a sua volta diviso in tre parti. Nella prima seguiamo Gwydion, erede di Math l’Antico, che per sottrarre dei maiali con l’inganno all’ormai anziano Pryderi finisce per scatenare una guerra ed essere maledetto. La seconda parte ha per protagonista il giovane Llew, figlio della sorella di Gwydion e da lui allevato; la terza, infine, racconta dell’amore di Llew per Blodeuwedd, una fanciulla magica nata dai fiori.
L’autrice amplia e approfondisce storie e personaggi diventati ormai leggenda, cercando di unire al tema dell’antica sapienza la più terrena umanità di questi eroi. Alcune scelte sono opinabili, come il continuo rimando al tempo presente tramite visioni druidiche permeate di critica e pessimismo – ma comprensibili nell’ottica new-age che caratterizzava gli anni in cui la Walton scrisse i romanzi- e il continuo accento sulla condizione femminile, passata da quasi divina durante i tempi antichi a quella di una specie di schiava dell’uomo nei secoli successivi.
Tralasciando questi momenti un po’ pedanti, la Walton regala nuova linfa vitale alle antiche leggende, rendendole godibili e comprensibili anche a chi è del tutto digiuno di sapienza nei riguardi della cultura celtica insulare. La lettura scorre piacevole, onirica, a tratti commovente.
Una meravigliosa parentesi in un mondo perduto che attende solo di essere riscoperto.