mercoledì 21 settembre 2011

Così triste cadere in battaglia

Così triste cadere in battaglia. Rapporto di guerraMorire per la propria Patria non è meno amaro che morire in qualsiasi altro modo. La Morte è la Morte, e quando sai che ti aspetta al varco non puoi fare a meno di provare tristezza per ciò che stai perdendo. Anche se sei un soldato giapponese, votato all’onore e alla difesa del popolo e dell’Imperatore.
Il generale Kuribayashi, a cui venne affidato l’ingrato – secondo la nostra logica comune- o forse l’onorato (nella mentalità giapponese votata al servizio) compito di combattere contro gli statunitensi per il controllo dell’isola di Iwo Jima, fu uno dei pochi militari giapponesi della Seconda Guerra Mondiale a sottolineare nelle sue parole non la gloria della battaglia, ma la tristezza di soldati che si lasciavano alle spalle mogli, figli, genitori e tutti i loro sogni per morire su una terra ingrata, in una battaglia persa in partenza.
Nonostante questa “debolezza sentimentale”, Kuribayashi fu un generale di polso, intelligente, pratico, un degno avversario dei marines, che ancora oggi lo ricordano con estremo rispetto. Una battaglia destinata ad essere persa in pochi giorni fu protratta per mesi abbandonando la tattica suicida banzai per passare alla guerriglia, e fu la totale mancanza di supporto da parte della Marina e dell’Aviazione a decretare il terribile sacrificio di tanti uomini coraggiosi. Iwo Jima era una desolazione vulcanica priva di acqua e divenne un vero girone infernale per entrambi gli schieramenti.
La battaglia per il controllo di Iwo Jima è indelebilmente impressa nella mente di giapponesi e statunitensi, che ancora oggi commemorano i caduti con cerimonie annuali, incontrandosi pacificamente su un’isola il cui terreno è disseminato di cadaveri. Quali erano le condizioni di vita dei soldati giapponesi mandati a morire in battaglia? Cosa si celava dietro ai comunicati ufficiali, alle versioni della stampa imperiale, ai giorni di agonia di questi soldati del Sol Levante?
Kakehashi Kumiko cerca di dare una risposta a queste domande tramite la lettura e l’analisi delle lettere del generale Kuribayashi alla famiglia che lo attendeva a casa: la moglie e i tre figli. In “Così triste cadere in battaglia” (Einaudi) l’autrice ripercorre attraverso le umane, toccanti, rivelatrici missive del generale non solo la preparazione del contingente allo sbarco degli americani sull’isola, ma anche gran parte delle fasi di battaglia con il supporto di frammenti di diari e lettere ritrovati sui cadaveri dei caduti.
L’analisi di una battaglia di immane impatto storico, innovativa rispetto alle normali procedure d’attacco e difesa giapponesi di fronte al nemico, mette in evidenza la razionale preparazione di Kuribayashi, la sua precisa visione della situazione e dei pericoli che attendevano i suoi uomini e il suo Paese dopo lo sbarco statunitense. In pieno contrasto con la Marina e l’Aviazione, Kuribayashi impiegò i suoi uomini, costretti su un’isola vulcanica desolata e priva di acqua che non fosse piovana, nella costruzione di rifugi sotterranei adatti alla guerriglia, scartando come obsoleto e autolesionista il tipico attacco sulla spiaggia volto a impedire lo sbarco, risoltosi sempre in un massacro. Scandalizzò i superiori rifiutando la carica suicida di prammatica e costringendo il suo piccolo esercito a combattere fino allo stremo, vietando il rituale della “morte onorevole”. I Marines presero Iwo Jima a costo di grosse perdite e una battaglia infernale.
Al di là della battaglia, le lettere offrono il ritratto degli uomini che si celavano dietro l’uniforme, con i loro affetti, preoccupazioni, sogni. Kuribayashi racconta le proprie azioni giornaliere e si interessa della salute dei suoi con la stessa cura con cui si occupa del campo di battaglia. Offre consigli e pareri alla moglie come ai figli, li aiuta a fare piccole riparazioni in casa, a decidere che comportamento tenere in caso di sconfitta del Giappone. Li esorta ad accettare la sua morte e ad andare sempre avanti.
L’autrice ci narra, senza campanilismi, il suo viaggio attraverso la vita di un uomo semplice e pratico che gli eventi hanno consegnato alla Storia. Un’ottima lettura anche per chi non possiede una particolare passione per i fatti di guerra.

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