martedì 11 febbraio 2014

Fuori e dentro il borgo

Oggi mi occupo di una raccolta di racconti intitolata “Fuori e dentro il borgo”, edita da Baldini&Castoldi, scritta da uno dei più famosi personaggi della canzone italiana. Sto parlando di Luciano Ligabue, cantante e autore rock che vi sfido a non aver sentito almeno nominare.
Che il cantante piaccia o meno, che si sia suoi fan oppure no, si sappia che Ligabue sa scrivere anche in prosa, e bene. Ha un linguaggio che sembra nato apposta per la forma racconto; non si tratta nemmeno di narrativa vera e propria, quanto di una sorta di trasmissione orale della memoria messa poi in stampa.
Nella raccolta che vi presento, Ligabue dà voce a uno spaccato di umanità verace, vitale. Nelle sue pagine si affastellano personaggi che incarnano “maschere” comuni a tutte le piccole realtà. Lo spaccone, il drogato, quello che ha successo con le donne, il gruppo musicale del paese, la vicina di casa stramba, la protagonista di un fatto di cronaca…Parla di gente vera, che vive o ha vissuto, e la restituisce senza fronzoli, consegnandoci brevi flash tratteggiati con maestria e crudo verismo.
Il linguaggio è gergale, a volte aspro, duro, volgare, ma mai eccessivo. Segue l’andamento della narrazione, affianca con la dovuta sincerità personaggi e situazioni molto quotidiani, che ci restituiscono l’atmosfera di un paese della provincia di Reggio Emilia, come tanti altri, con i suoi personaggi caratteristici e quelle atmosfere infantili e adolescenziali che oggi sembrano perdute per sempre, eppure non sono ancora così lontane nel tempo.
C’è molto teatro in questi racconti, non so se volutamente o per un fortunato intuito. C’è la fabula, l’inestimabile momento di rievocazione e scambio del ricordo, un passaggio dal narratore all’ascoltatore (in questo caso, al lettore) di eventi passati, che così vengono salvati dal trascorrere del tempo e dalla sua tendenza a cancellare tutto e restituirlo all’oblio.
I brevi testi sembrano fatti apposta per essere letti ad alta voce, magari recitati come monologo. Funzionano, sono diretti e spontanei, privi di tanta artificiosità letteraria mascherata da gergo quotidiano che infesta larga parte della scrittura che vuole raccontare la vita “vera”.
Alcuni racconti ci trasportano nel periodo dell’infanzia del musicista, raccontando bravate giovanili oppure offrendo un ritratto fatto di pochi, semplici tratti delle persone che hanno segnato la sua vita o gli sono stati d’esempio. Spesso si tratta di parenti. Toccante l’omaggio, ad esempio, alla zia Rachele, di cui Ligabue stimava la forza di carattere e la coerenza.
Vi sono accenni all’esperienza radiofonica che è stata raccontata anche nel film “Radio Freccia”, per la precisione nel racconto “Radio fu”, il cui titolo già dice tutto su come terminò quell’avventura. Una piccola perla è il racconto “La Cianciulli e l’Ermelina”, dove Ligabue adotta un formato su due colonne per narrare contemporaneamente di donne dal destino molto differente, unite da una conoscenza comune e dall’avere più o meno la stessa età: la serial-killer Cianciulli, che uccideva le amiche e ne faceva a pezzi i corpi per ricavarne sapone, e la nonna Ermelina, la cui passione indefessa era il gioco del lotto.
Oltre ad aprire finestre sul suo passato, Ligabue si mostra senza timore anche nel presente. Sono parecchi i racconti (a volte quasi in forma di libero scorrere del pensiero) che trattano dei momenti sul palco – vedi “Primomaggio” o “Lucianone e Lucianino”- oppure del dietro le quinte o ancora delle interviste (sempre uguali, a ben guardare). Ne viene fuori un’esistenza sicuramente esaltante e piena di soddisfazioni, ma anche stressante, a volte così esigente da portarlo all’insofferenza (“Non sei diverso dalle altre puttane”).
Vi sono poi i racconti-ritratto, quelli che si incentrano su un personaggio caratteristico del paese o che gravita attorno all’entourage del cantante. Incarnazioni di figure quasi archetipiche, costoro vengono tratteggiati senza pietà, sia nelle storie più divertenti – come nel racconto “Fantastico Savana”, che raccoglie le balle raccontate in dialetto da un reduce di guerra - che in quelle più drammatiche, intense (“Il girotondo di Freccia”).
Una lettura non facile quanto può sembrare, da gustare pian piano, senza correre. Una bellissima raccolta di racconti in cui si respira un’Italia che fu e una sana dose di rock.

Nessun commento: