giovedì 10 aprile 2014

DNA

Il DNA è un acido nucleico contenuto, per l’appunto, nel nucleo delle cellule. Esso contiene la completa sequenza genetica di ogni essere vivente. Formato da due nucleotidi a doppia elica, si compone di gruppi fosforici, uno zucchero a cinque atomi di carbonio (il desossiribosio) e quattro diversi tipi di basi azotate, in grado di “incastrarsi” come chiave e serratura a coppie ben precise: adenina con timina, citosina con guanina. Dalla sequenza di incastri tra queste basi nascono le informazioni genetiche che danno all’individuo le caratteristiche basilari della sua specie e quelle personali che lo differenziano da chiunque altro.
Il DNA è un mistero potente e un’arma potenzialmente pericolosa, un miracolo che non cessa di stupire. Può servire a guarire malattie e a conservare specie in via d’estinzione come può costituire un mezzo di controllo sociale terrificante. Non stupisce che sia diventato motore di numerose fantasie letterarie. Il romanzo – o meglio, raccolta di racconti legati tra loro - che vado a presentarvi, fa della manipolazione del DNA il suo tema portante.
“DNA” di Rodolfo Viezzer, autore de “L’Uovo” che ho recensito qualche tempo fa, è edito in Italia con Aracne Editore. Racconti che inizialmente sembrano slegati l’uno dall’altro, tenendo la manipolazione del DNA come unica cifra d’unione, vanno pian piano assemblandosi in una narrazione univoca, in una storia completa vista attraverso molti occhi.
Nel primo racconto, si assiste all’efferato omicidio di un bambino. Solo le tracce di DNA scoperte sul giocattolo che portava con sé potrebbero dare indizi sull’identità dell’assassino. Le indagini della polizia vanno a intrecciarsi alla ricerca genetica di una scienziata cinese e porteranno a scoprire un triste segreto e ad un commovente atto d’amore.
Il secondo si immerge in un immaginario futuro in cui si è instaurato un nuovo regime autoritario con mire di conquista e controllo del mondo. L’arma definitiva, silenziosa e micidiale, consiste in un micro-ritrovato della tecnica installato nei corpi umani su scala mondiale e in grado di dare morte istantanea con la sola attivazione a base genetica. Le armi, però, sono sempre a doppio taglio…
La terza storia è una finestra su una piccola comunità gioiosa, che ha lasciato un mondo in guerra, grigio e diviso in caste ben precise, per trasferirsi su un altopiano lontano da tutto e tutti e vivere in pace, a contatto con la natura. Tutti sanno, però, che la magia potrebbe finire in qualsiasi momento. Se venissero scoperti, avrebbero solo due scelte: o rientrare nella schema sociale, o fuggire.
Nel quarto racconto, si scopre che i potenti della Terra hanno trovato modo di clonare se stessi per ottenere il potere, anche se i risultati non sono ancora ottimali e le grandi menti rischiano il cortocircuito. Nel successivo, una privilegiata che perde il suo status e viene esiliata in mezzo ai Verdi (la plebe condannata al lavoro), scopre che la vita vera è molto diversa dall’esistenza meccanica e liofilizzata che ha sempre vissuto e l’esperienza si trasforma in una corsa verso la libertà.
La sesta parentesi vede di nuovo protagonisti i cloni dei governanti, ormai attivi in più copie per volta, unire le forze per creare un super-dittatore. Nell’ultimo racconto, si assiste alla ricerca della città dei rifugiati, ormai diventata una specie di leggenda.
Purtroppo, contrariamente a “L’Uovo”, in questo caso Viezzer non riesce a centrare il bersaglio. Le sue idee sono ottime, molto vivide e interessanti. Non c’è banalità nei processi che lo portano a costruire le trame dei suoi racconti. I temi sono importanti, profondi, vanno a scavare nella psiche umana e nei meccanismi sociali, mischiando alla letteratura una denuncia della decadenza che caratterizza il consumismo e della tendenza mai sopita all’autoritarismo.
Proprio per questo motivo, però, la forma racconto diventa un’arma a doppio taglio. Le trame sono di troppo ampio respiro per essere contenute in così poche pagine. Ne risulta una trattazione affrettata, un rincorrersi di avvenimenti troppo celere che lascia disorientati e spesso insoddisfatti. Cose che avrebbero bisogno di quaranta pagine per essere espresse vengono concentrate in cinque. Questo taglia le gambe a una possibile affezione ai personaggi e non permette di soffermarsi a riflettere per un tempo congruo sugli argomenti sollevati.
Inoltre le pecche grammaticali e sintattiche sono molte, c’è un uso smodato del punto esclamativo e i dialoghi sono artificiali; queste caratteristiche vanno ulteriormente a rovinare l’effetto generale della raccolta.
Un vero peccato: i semi erano di ottima qualità, ma la pianta è cresciuta debole.

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