giovedì 19 giugno 2014

Clarimonde, o La morte amorosa

Romualdo ha sempre avvertito, nel proprio cuore, di essere destinato a servire Dio. Cresciuto nel seminario, ha colpito i suoi superiori per la devozione e l’umiltà, arrivando ancora molto giovane al passo più importante: il momento di prendere i Voti.
Tutte le certezze di una vita, però, crollano quando il giovane, durante la cerimonia, incontra lo sguardo di una bellissima fanciulla, che sembra pregarlo con gli occhi di ripensarci, di vivere come un uomo invece di costringersi alla prigionia. Romualdo prende i Voti, ma il suo animo è turbato da una passione per quella giovane. Ella è Clarimonde, cortigiana dalla pessima fama, che muore di dolore tra le sue braccia, dopo averlo chiamato per avere da lui l’estrema unzione.
La notte dopo, però, la donna misteriosa sorge dalla tomba e rapisce il consenziente Romualdo, legandolo a una magica doppia vita che lo vede suo consorte ogni notte, in quel di Venezia, compagno di feste e divertimenti, e tormentato sacerdote durante il giorno.
Nemmeno scoprire che Clarimonde allunga la propria vita artificiale tramite piccoli sorsi del suo sangue riesce a liberare Romualdo da questo amore malato. Sarà l’abate Serapione a condurlo alla tomba della vampira, svelandogli la sua natura immonda e ponendo fine alla vita del mostro. Romualdo è libero…ma lo attende una vita infelice.
Théophile Gautier dà vita, a metà del XIX secolo, a un lungo incubo con risvolti psicologici molto moderni. E’ arduo dire – per noi come per Romualdo – se l’orrore si celi nella vita di privazioni all’ombra della Croce oppure nelle gozzoviglie amorose della barocca Venezia, accanto a Clarimonde.
La vampira di questo racconto è un personaggio che non è possibile definire semplice incarnazione del Male. In qualche modo presuppone ai vampiri di stampo più contemporaneo, afflitti da una dicotomia in cui la componente umana e sentimentale va a ledere l’oscurità del mostro, la sua non-appartenenza alle leggi di natura.
D’altra parte, Clarimonde è un nome con spiccata valenza benefica, luminosa. Una promessa di purezza e vita che stride con la sua fama di oscena cortigiana, conosciuta per le sue orge immonde e per il mistero delle sue tante vite. Anche il suo aspetto è angelico, da gran signora. I sentimenti che esprime nei confronti del protagonista sono intensi e riescono a restare quasi completamente incorrotti dalla fame insaziabile del vampiro. Clarimonde si contenta di strappare il suo amato alla devozione religiosa e di immergerlo nel vortice di passioni della vita, suggendo poche gocce del suo sangue approfittando del sonno, senza mai fargli danno fisico, senza mai preferirgli altre vittime e centellinando le proprie forze per non nuocergli. Un grosso sacrificio per lei, parrebbe, in quanto rischia perfino di spegnersi per consunzione pur di non approfittare troppo del sangue di Romualdo.
L’abate, al contrario, pur essendo paladino del Bene e della Luce lascia di sé una memoria ambigua, sgradevole, quasi violenta e distruttiva nella pervicacia con cui segue le tracce della possessione di Clarimonde e poi mette Romualdo alle strette, forzandolo ad una spedizione che porrà fine all’amore malato con la vampira, uccisa nella sua tomba dallo stesso abate con una foga e un trionfo morbosi, tali da far dubitare della purezza delle sue intenzioni.
Romualdo è un fantoccio, un uomo pavido che ha bisogno di qualcuno che gli indichi la via, quale essa sia. Il suo amore per Dio viene cancellato dalla passione per Clarimonde con un solo sguardo (magico o meno che sia), e quest’ultimo amore – capace perfino di non temere la sete mostruosa che affligge la sua compagna – non riesce comunque a dargli la forza di diventare in qualche modo protagonista dell’azione quando si trova costretto ad assistere alla distruzione di Clarimonde. Succube della volontà dell’abate, si limita ad assistere con orrore, senza muovere un dito né pro né contro di lei.
Una storia d’amore e orrore pervasa da una strana malinconia, da rileggere più volte per coglierne le tante sfumature.

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