lunedì 5 dicembre 2011

Il Teatro giapponese

Il Teatro Giapponese è così profondamente ancorato alle tradizioni del magico Paese orientale da essere pressoché incomprensibile a tutti i profani. Difficile quindi che nasca un interesse tale da spingere ad approfondire la questione, anche per chi di teatro si occupa (ma solo nella sua accezione ‘occidentale’) o per i patiti del Giappone.
Nel suo “Il teatro giapponese”, stampato presso PAGINE, Pietro Seddio cerca di scrivere un saggio che sia da introduzione a un argomento veramente molto complesso, che necessita di molta pratica visuale oltre ad uno studio teorico.
Il teatro in Giappone affonda le sue radici nella tradizione religiosa, come anche in occidente, ma la sua evoluzione ha preso una strada molto diversa, tanto da diventare mezzo di comunicazione prevalentemente gestuale e spirituale. Il teatro occidentale è un teatro della parola, di analisi psicologica, in cui lo scorrere della vicenda ha un’importanza fondamentale. Quello orientale tradizionale ha valori e tempistiche completamente differenti. La trama è schematica, i gesti sono codificati, simbolici. Spiriti e personaggi in carne e ossa si susseguono sulla scena, in un continuo alternarsi di passato e presente. Le rappresentazioni sono accompagnate dalla musica, spesso la parte vocale è cantata (come nel nostro melodramma).
Seddio, riconoscendo la difficoltà dell’argomento trattato, inizia cercando di dare una panoramica sintetica ma esaustiva della storia del Giappone e delle sue radici religiose e culturali. Si sofferma particolarmente sull’analisi dello shintoismo, la religione animista locale praticata più come atteggiamento verso il Creato che come fede vera e propria, e del Buddhismo, giunto in Giappone dall’India e dalla Cina e affermatosi per lungo tempo come Religione di Stato.
Furono proprio i monaci i primi a diventare attori e registi di spettacoli paragonabili alle nostre rappresentazioni sacre medievali. Influenzati dalla musica e dalle danze coreane e cinesi, i giapponesi presero spunto dalle civiltà vicine per creare poi qualcosa di prettamente nazionale, peculiare dal principio alla fine.
L’autore entra poi nel dettaglio, spiegando origini e caratteristiche dei principali generi teatrali tradizionali.
Il primo della lista è il teatro No, oggi molto conosciuto anche in Occidente, anche se poco compreso. Il No è un teatro d’elite, per pochi, nato nei templi e nelle corti e portato avanti nei secoli con pochissime modifiche. Lo spazio scenico è quadrato, i posti per il protagonista e il narratore sono fissi ai due angoli del palco. Una passerella unisce le quinte al palco, consentendo il passaggio degli attori. Una sorta di veranda laterale ospita il coro. La recitazione segue schemi ben precisi, gli attori sono riccamente abbigliati e indossano maschere che ne identificano il carattere (volendo fare un paragone ardito, come nella nostra Commedia dell’Arte).
Gli argomenti trattati sono sacri, o tratti dalle antiche leggende e dai miti della terra giapponese. Di quando in quando vengono messe in scena storie di grandi eroi o santi. Solo gli attori maschi possono recitarvi.
Il secondo grande genere teatrale tradizionale è il Kabuki, nato in epoche successive in ambienti popolari. Inizialmente fatto da donne, prostitute, in seguito fu loro proibito e portato avanti prima da fanciulli (a loro volta usati per il piacere altrui) e poi da uomini, che si divisero i ruoli facendo nascere la figura dell’onna-gata, l’attore specializzato in ruoli femminili.
Il Kabuki è un teatro più passionale, fatto di amore, scontri, attualità, tanto da aver avuto fama di scabroso. Il tema del sacrificio è spesso presente, riflesso della cultura giapponese, ma le rappresentazioni conservano momenti di divertimento, gioia. La danza e la musica sono affiancate da una recitazione che si rifà alla tradizione delle marionette (ningyo-shibai). I costumi di scena sono curati e splendidi, la scenografia e il palco spesso vengono dotati di congegni e trabocchetti per ottenere spettacolari effetti speciali.
L’ultimo capitolo tratta dell’occidentalizzazione del teatro in Giappone, con la nascita di produzioni più vicine alla nostra concezione teatrale. Segue un glossario per aiutare il lettore a destreggiarsi attraverso i tanti termini giapponesi.
Purtroppo la recensione a questo saggio non può dirsi positiva. Una volta apprezzato lo sforzo e il coraggio nel presentare al pubblico italiano questo argomento di nicchia, su cui si trova pochissimo materiale, le critiche positive possono dirsi concluse.
Il testo è scritto male, pieno sia di errori di battitura che sintattici. E’ evidente la mancanza di un controllo di qualsiasi tipo sul testo prima della stampa. Le nozioni non teatrali sono fornite con poca chiarezza e spesso, conoscendo almeno in parte la situazione religiosa giapponese, viene il dubbio che l’autore non ne abbia colto il profondo significato esoterico.
Dispiace la totale mancanza di accenni al moderno Takarazuka, un teatro di sole donne che mette in scena spettacoli grandiosi e molto kitsch dal grandissimo successo.
Inoltre i termini giapponesi sono traslitterati malissimo, spesso nemmeno nello stesso modo da una pagina all’altra. L’autore ignora, o ha fatto a meno di utilizzare, la comune traslitterazione delle sillabe nipponiche.
La lettura è consigliata solo ai veri appassionati dell’argomento, che potranno utilizzare il saggio per farsi un’idea e continuare poi le ricerche altrove. In caso contrario, stasera leggetevi un romanzo d’avventura o guardatevi un film!

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