venerdì 16 dicembre 2011

La Saga di Shannara

Quando si parla di Terry Brooks e della sua opera magna, vale a dire la trilogia composta da “La Spada di Shannara”, “Le pietre magiche di Shannara” e “La canzone di Shannara”, bisogna partire dal presupposto di camminare su un terreno minato.
Brooks è un autore molto amato da una larga fetta di affezionati del fantasy e la sua continua ascesa in vetta alle classifiche di vendita ne è la prova. Al contempo, esiste un consistente zoccolo duro di appassionati che, se non lo detesta, perlomeno è ben lungi dal metterlo nell’Olimpo dei Grandi di questo genere. Per quale motivo? Analizziamo nel dettaglio.
Terry Brooks è un buono scrittore. Ha una prosa corretta, abbastanza scorrevole. Dà molta attenzione alle descrizioni di luoghi e dettagli, crea personaggi definiti e le sue storie sono costruite con precisione, senza pressapochismo o confusione. Spesso ha idee originali, sa essere divertente (come nella Saga di Landover, che tratterò più avanti nel tempo) e non si risparmia nel cercare di rendere più chiaro possibile al lettore in quale ambiente si sta muovendo.
Al contempo, la sua scrittura è fin troppo lineare, senza scossoni. Non ci sono né alti né bassi, si procede in acque tiepide di cui non si può dire né troppo bene né troppo male. Un po’ poco per uno scrittore della sua fama. Le parti descrittive sono a volte tanto lunghe da indurre alla noia, i dialoghi sembrano inseriti più per necessità di cambiare registro di quando in quando che per una vera intenzione di dar parola ai personaggi. Questi, dal canto loro, pur se ben tratteggiati faticano a trovare la loro vera essenza e a risaltare quanto basta da suscitare una vera simpatia in chi legge.
Non ho l’autorità di decretare se Brooks sia o no uno scrittore che merita il suo successo- tra l’altro ho apprezzato alcune sue opere- ma su una cosa non transigo: se mi trovassi davanti l’editore che gli ha pubblicato “La Spada di Shannara”, gliene canterei quattro e gli farei i complimenti per averci buggerati tutti presentandoci Shannara come la più grande novità del suo tempo. Il primo romanzo della saga, infatti, è una brutta copia de “Il Signore degli Anelli” di Tolkien, senza nemmeno un vero tentativo di nascondere la cosa.
Sotto le mani di Brooks, la trama si fa noiosa, allungata come un brodo, del tutto priva della potenza e dei significati di cui Tolkien si era fatto latore. Cambiare nomi e dettagli è inutile quando la scansione degli eventi rimane la stessa, palese a chiunque abbia letto entrambi i libri. Il romanzo racconta di Shea Ohmsford, ragazzo in parte elfo, che viene mandato da un misterioso druido di nome Allanon alla ricerca della Spada di Shannara per poter sconfiggere il redivivo Signore degli Inganni. Il libro è stato con tutta evidenza costruito passo passo su uno schema ricavato dal romanzo di Tolkien. E’ sorprendente come questo libro abbia potuto essere anche solo preso in considerazione dal mondo editoriale. L’unico dettaglio degno di nota è l’ambientazione, un mondo che si scoprirà erede del nostro, distrutto dalle guerre, in cui gli uomini convivono ora con le creature del mito.
La saga riprende un po’ fiato nel secondo episodio, che si svolge circa cinquant’anni dopo le vicende di Shea. Il protagonista, stavolta, è il nipote Wil, il quale dovrà accompagnare la giovane elfa Amberle in una disperata missione alla ricerca del Fuoco di Sangue per permettere la rinascita dell’Eterea, l’albero magico che trattiene i demoni in un limbo tramite un divieto che sta cedendo. Sarà Allanon, come sempre, a tirare le fila dell’impresa. Benché anche questo romanzo inizi sottotono e le battaglie siano un evidente richiamo a quelle più viscerali del Fosso di Helm e di Minas Tirith, da metà in avanti la storia assume connotati propri, i sentimenti dei personaggi diventano meno schematici e più sentiti. Anche la figura del druido Allanon si discosta da quella del saggio Gandalf per velarsi di un’inaspettata fragilità.
Ne “La canzone di Shannara”, finalmente, Brooks prende una direzione tutta sua e racconta le vicende di Bri e Jair, i figli di Wil, in maniera più coinvolgente e con meno rimandi a Tolkien. La figura di Allanon viene eviscerata in profondità, conferendo un maggiore spessore umano alla vicenda.
Leggere Shannara oppure no? Ai posteri l’ardua sentenza. Se non avete ancora letto il Signore degli Anelli, siete di bocca buona oppure ritenete giusto dare almeno un’occhiata alle saghe che hanno portato il fantasy dove è oggi, allora la risposta è sì. Se siete ipercritici come la sottoscritta, lasciate perdere. Esistono tanti libri meravigliosi, a questo mondo…

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