sabato 18 febbraio 2012

Iniziazione ai culti celtici

“Iniziazione ai culti celtici” è un piccolo volume edito dalla Edizioni Mediterranee, facente parte di una collana dedicata appunto all’introduzione delle antiche religioni. Le autrici, Daniela Bortoluzzi e Ada Pavan Russo, tentano di riassumere in maniera comprensibile anche ai non iniziati un vasto e complesso sistema cultuale le cui origini si perdono nella notte dei tempi e le cui tracce tangibili provengono quasi completamente da testimonianze esterne (romane e greche, soprattutto).
I Celti erano un popolo di probabile provenienza indoeuropea, che si insediò in Europa e la occupò da nord a sud, da est a ovest, diversificando le proprie forme artistiche e sociali fino a creare una frattura netta tra i Celti continentali e quelli insulari, emigrati in Irlanda e nelle isole britanniche. Alcuni aspetti della loro cultura, però, rimasero peculiari.
I Celti ebbero modo di confrontarsi con numerose civiltà, da cui trassero ciò che sembrava loro valido: Greci, Romani, Sassoni. Furono anche in grado di comprendere parzialmente e riutilizzare i complessi megalitici eretti millenni prima da una diversa e ancora pressoché sconosciuta civiltà.
Il pantheon celtico era multiplo e vario, ma gli innumerevoli Dei erano solo aspetti diversi delle stesse essenze. Secondo la loro visione escatologica, il mondo era governato da tre principi: la Forza, la Saggezza e l’Amore. Sopra ad essi stava una divinità unica e inconoscibile. L’anima umana ne era un frammento e per ricongiungersi all’Origine doveva superare le prove terrene. Credevano nella reincarnazione e in diversi livelli di esistenza, “mondi” in contatto tra loro che interagivano con il piano materiale e terreno della vita fisica.
Tramite con questi mondi e custode della conoscenza (orale) era il druido, o la druidessa. Più che sacerdoti, essi erano punti di riferimento imprescindibili, figure che affiancavano e legittimavano chi deteneva il potere. Essi conoscevano le rune, segni di scrittura magica, e utilizzavano la musica per conservare e divulgare la sapienza.
La Natura era specchio delle forze dello spirito e come tale veniva tenuta in gran conto e venerata. La vita era scandita da feste rituali che avevano effetto propiziatorio verso le forze della Natura e servivano da collante sociale, coinvolgendo tutti nei riti del ciclo stagionale.
Il breve saggio si articola in tre parti. Nella prima, viene introdotta e analizzata la vasta sequela di simboli magici, soprattutto quella legata al mondo animale. Nella seconda parte si passa invece alla simbologia runica legata agli alberi e alla loro sfera di influenza nella vita umana. Le feste sacre vengono elencate e descritte dal punto di vista rituale. La terza parte, infine, introduce nomi e valenze delle divinità centrali del pantheon celtico, cercando di collocare questa religione all’interno del più ampio panorama europeo.
Benché nato con ottimi scopi, questo saggio è di qualità carente. Le informazioni che vengono fornite non sono sempre esatte, soprattutto a causa di una ristretta visuale antropologica da parte delle autrici. Non si fatica a notare che entrambe si rifanno alla rinascita new-age dei culti celtici e, più in particolare, ai culti wiccan della Grande Madre.
Per quanto questa figura sia di eccezionale importanza, continuare a farvi riferimento in toni nostalgici (con critica implicita alla religione cristiana successiva) non fa buona prova di obiettività da parte delle autrici, né di reale comprensione della complessità spirituale del culto antico. Anche i piccoli riti che vengono proposti alla fine di ogni sezione sono palesemente incantesimi wicca, che non dovrebbero trovarsi in un libro che afferma di trattare dei Celti.
Le frasi finiscono spesso con i tre puntini di sospensione, una scelta stilistica discutibile che fa pensare di trovarsi a leggere il diario personale di una ragazza più che un saggio. Si fa inoltre una confusione incredibile tra divinità celtiche, greche, romane e sassoni, in un miscuglio che potrebbe confondere un lettore non ancora iniziato all’argomento. I chiarimenti sulle inevitabili influenze che i “vicini di casa” ebbero sul pantheon celtico arrivano troppo tardi, solo nelle ultime pagine del saggio.
Vi sono comunque alcune parti interessanti e gran parte delle informazioni rimangono esatte.
Una lettura per chi già conosce l’argomento. Quando avrete finito – come me - di storcere il naso, avrete comunque a vostra disposizione un veloce saggio di consultazione sulla simbologia della religione celtica.

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