giovedì 18 ottobre 2012

La magia nel Medioevo

La Editori Laterza presenta in un bel formato in carta lucida il saggio “La magia nel Medioevo” di Richard Kieckhefer, docente di Storia del Cristianesimo ed esperto di mistica e teologia.
L’autore analizza non solo l’impatto della magia nella società medievale, ma anche l’effettivo fenomeno sociale della figura del mago o negromante sia sul piano reale e storico che su quello immaginario e letterario.
Per prima cosa, come è giusto, Kieckhefer cerca di dare definizione alle varie branche della magia; uno scrupolo che può sembrare ozioso a chi non si è mai interessato alla materia o non è a conoscenza delle accese diatribe in merito che hanno riscaldato gli animi di grandi pensatori sia laici che religiosi per tutto il Medioevo, ma che in realtà cela la chiave per comprendere come si sia giunti alle persecuzioni inquisitorie dei secoli più bui (paradossalmente alla fine di quello che chiamiamo Medioevo, e non ai suoi inizi).
Al principio della nostra analisi, ciò che oggi chiamiamo magia non esisteva in quanto tale. “Magia” era l’arte di dubbia fama di personaggi provenienti dall’Oriente, chiamati appunto magi. Essi erano sempre visti con una certa diffidenza, in quanto non si riusciva a capire quanto del loro potere fosse reale e quanto derivante da trucchi che oggi assoceremmo più a un prestigiatore che alla figura del mago vera e propria.
Il coacervo di superstizioni, riti propiziatori e divinazioni che poi entrerà a far parte del patrimonio culturale del panorama magico, ai primordi del Medioevo era una cosa perfettamente normale. Si trattava di tradizioni dell’antica religione politeista, sradicata e denigrata dal Cristianesimo, che stava prendendo possesso dei territori dell’Impero.
Per farsi largo, essa dovette far dimenticare (e quindi proibire) tutta una serie di piccoli riti domestici e non che facevano ancora affidamento sulle forze della natura, sugli spiriti, tacciando chi ne faceva uso di idolatria e comminando punizioni esemplari. Un altro sistema, usato soprattutto nel nord Europa, era quello di sostituire a festività, divinità e riti pagani una versione cristianizzata degli stessi, per intervenire in maniera meno traumatica ma ugualmente invasiva.
L’affermarsi del Cristianesimo come unica religione, però, non riuscì a distruggere completamente l’abitudine di usare la magia “naturale”, di solito composta da innocenti riti con erbe o oggetti di uso quotidiano, magari benedetti da formule che erano non molto differenti da normalissime preghiere. La magia, a differenza della religione, mira a modificare i fatti invece di affidarsi alla volontà divina, ma i piccoli incantesimi di questo tipo erano una commistione dei due elementi, usata da gente per lo più in buona fede, che voleva solo un favore da Dio e sperava di ottenerlo dicendo le cose giuste e procurandosi gli aiuti naturali necessari.
Di tutt’altro genere era la magia negromantica, il cui scopo era evocare le forze spiritiche (demoniache, per lo più) per ottenerne i favori. Questo era un genere di magia colta, probabilmente nata e sviluppatasi all’interno dello stesso ambiente clericale, in quanto prevedeva conoscenze linguistiche, teologiche e tecniche che una normale persona del volgo non poteva possedere (ma furono tra la gente comune, paradossalmente, quasi tutte le vittime delle inquisizioni che seguirono al proliferare di questa magia “nera”). La negromanzia usava e pervertiva preghiere e riti cristiani per renderli magici e adatti all’invocazione di forze tenebrose.
Altro discorso si poteva fare per l’astrologia, divinazione del futuro tramite il moto dei pianeti, e l’alchimia, ricerca della Materia Fondamentale e dell’immortalità. Entrambe le branche magiche sono progenitrici delle moderne scienze, per cui dobbiamo molto alla ricerca degli appassionati, anche se tra loro vi erano ciarlatani, visionari. La Chiesa tentò sempre di soffocare entrambe, ritenendole sacrileghe, in quanto andavano a indagare in ciò che concerneva solo Dio. Anche l’uso delle erbe guaritrici, l’arte di costruire automi o di congegnare trucchi che ingannassero gli occhi, venivano considerate magia. Non si faceva una grande distinzione e quando scoppiò la fobia nelle streghe le differenze tra magia naturale, divinazione e magia nera scomparvero del tutto.
Dalla controversa magia “reale” nacque poi quella letteraria, di cui i romanzi cortesi sono pieni. Più poetica e favolosa di quella che incuteva timore nella vita di tutti i giorni, la magia cortese rimane la “versione dei fatti” che condiziona la nostra visione della stessa ancora oggi.
Scritto con un linguaggio semplice, alla portata di tutti, e corredato da illustrazioni, “La magia nel Medioevo” è un magnifico volume di cui consiglio caldamente la lettura.

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