martedì 30 aprile 2013

Quattrocento

Mostrando lo stesso oggetto, la stessa opera d’arte, lo stesso edificio a due persone diverse, spesso se ne otterrà un giudizio differente, quando non del tutto divergente. Non mi era mai capitato, però, di trovarmi di fronte a una valutazione antitetica -rispetto alla mia percezione di tutta una vita - nel rapportarmi a un’intera città.
“Quattrocento” di Susana Fortes, edito da TEA, è ambientato a Firenze, una città che per me è sempre stata fonte di speranza nel futuro, ispirazione artistica, infinite possibilità. La Fortes, invece, dipinge Firenze come il nero calderone di ogni bruttura, le vie gorgoglianti sangue di secoli, la tenebra nascosta nell’animo umano. Firenze diventa la dimora dell’orrore, esemplificato nei suoi tragici fatti storici e protrattosi fino ad oggi, come un codice genetico indelebile che maledice l’intera città e i suoi abitanti.
Ana Sotomayor è una studentessa spagnola, alloggiata nel capoluogo toscano, che sta preparando una tesi sul pittore Pierpaolo Masoni, attivo nella bottega del Verrocchio. Visto il suo coinvolgimento con l’episodio della Congiura dei Pazzi, il famoso attentato ai fratelli Lorenzo e Giuliano de’ Medici, la ragazza studia i quaderni lasciati dal pittore affiancandovi ricerche sul tragico evento storico e interessandosi sempre più alla vicenda. Nell’indagine la supporta il professor Rossi, amico di suo padre, uomo schivo e tanto più anziano di lei che diventa una presenza fondamentale nel suo cuore.
Le ricerche di Ana, però, toccano da vicino misteri che devono restare inviolati, mettendo lei e il professore in pericolo di vita. Il tragico passato non ha ancora cessato di influenzare il presente e ci sono verità che la Chiesa non vuole vengano rivelate.
Questa è la trama che si allaccia ai giorni fatidici dell’attacco ai Medici, narrati attraverso gli occhi di Masoni e del giovane Luca, il suo apprendista, in un continuo alternarsi di passato e presente, di una Firenze antica che è arrivata fino a noi con ammodernamenti che non ne hanno modificato la sostanza. Un mistero in cui arte, fede e politica si mescolano al sangue.
Lo stile narrativo della Fortes è piuttosto particolare, una prosa che suggerisce più che raccontare, a tratti poetica, nonostante si soffermi volentieri sul particolare morboso. Il romanzo inizia subito pregno di mistero. Ana è già al lavoro, le sue perplessità sulle memorie di Masoni e sulla congiura sono ben presenti fin dalle prime pagine. Questo toglie qualcosa al romanzo, in quanto il livello di tensione parte già alto e rimane sullo stesso piano praticamente per tutto il tempo della lettura, uniformando troppo la soglia d’attenzione.
Inoltre il giallo è strutturato in maniera tale da lasciare un vago senso di confusione, la sensazione di essersi persi qualche passaggio o di non aver ben compreso gli indizi. In realtà, ciò non è colpa del lettore, quanto della scrittrice. Nella sua foga di creare un alone di mistero, la Fortes inserisce personaggi, indizi e situazioni che quasi sempre brillano per un istante e poi si perdono come meteore, lasciando poco o niente di utile per dipanare la matassa. C’è troppa carne al fuoco, troppe situazioni non risolte. Anche il vizio di infilare qua e là frasi di anticipazione sui fatti futuri (“…se ne sarebbe pentita in seguito…”, “…avrebbe capito troppo tardi…” e simili) dopo un po’ stanca.
A questi difetti si aggiunge un gusto per il macabro, lo splatter fine a se stesso che non trova particolare giustificazione pur nella descrizione del crudo omicidio di Giuliano e nella battaglia che ne seguì. Si avverte un gusto per il sangue, per il torbido, che stona troppo con l’immagine comune di Firenze. Invece di aprirci una finestra sui segreti tenebrosi della città, stuzzicando quindi il nostro interesse, la Fortes vuole costringerci a fare il bagno in pozzanghere di sangue e fango.
Pur con la compagnia di bello stile e proprietà di linguaggio, quindi, si rimane per quasi quattrocento pagine legati a una storia a cui sembra sempre mancare qualcosa, un evento risolutivo, uno scopo vero e proprio. Per quanto mi concerne, un romanzo senza cime né abissi, che rincorre senza particolare costrutto la fame di mistero legato alla Storia che tanto attira il mercato editoriale in questo momento.
Da leggere quando proprio non avete altro sottomano.

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